Concluso il corso di aggiornamento del clero sull’iniziazione cristiana. Don Sciuto: “avete scelto la via piu’ proficua”.

CALTAGIRONE – Si è conclusa oggi la tre giorni di aggiornamento per il clero diocesano su I nodi dell’iniziazione cristiana, svoltasi dal 2 alla data odierna presso la sala convegni dell’Hotel Villa Sturzo.
Il corso è stato guidato da don Carmelo Sciuto, presbitero della diocesi di Acireale, e docente di catechetica allo Studio Teologico “San Paolo di Catania”.
Il piano pastorale diocesano per il decennio 2011-2020 indica tra gli obiettivi, per l’anno pastorale in corso e per il prossimo, quello di «passare dai Corsi di preparazione ai Percorsi di vita cristiana nella prassi attuale dell’iniziazione cristiana e della preparazione al matrimonio».
Questo è in particolare il tema affrontato dalla Chiesa calatina, durante il Convegno pastorale del 25 e 26 settembre scorsi, sul tema: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose” (Ap 21,5) iniziazione cristiana, fede e profezia”.
Di questi temi abbiamo parlato don Sciuto che per quattro anni è stato collaboratore presso l’Ufficio Catechistico nazionale, nel settore catecumenato.
Don Sciuto, da dove parte l’esigenza del rinnovamento dell’iniziazione cristiana in Italia?
«Semplificando e generalizzando mi pare di cogliere dalla prassi attuale dell’iniziazione cristiana alcuni “segnali preoccupanti”: ragazzi che arrivano in parrocchia senza nessun rudimento di fede (i catechisti, infatti, lamentano che i bambini arrivano alla catechesi senza saper fare il segno di croce o conoscere le preghiere basilari del cristiano); preadolescenti che “scappano” dopo la Cresima; famiglie quasi del tutto disinteressate alla formazione cristiana dei figli, assenti nei pochi incontri organizzati per loro, infastiditi dal prolungamento dell’ora del catechismo e di eventuali altri impegni aggiunti ai ragazzi; partecipazione alla Messa domenicale diventata un optional, infastidita dal “ricatto” dell’obbligo della presenza in vista del Sacramento da ricevere, e da molti neppure ricondotta al comandamento “ricordati di santificare le feste”… solo per citarne alcuni. Siamo ormai consapevoli di trovarci in un contesto storico di crisi religiosa profonda e l’Europa stessa è diventata terra di missione, per cui è necessario un cambio di prospettiva: una vera “conversione pastorale” anche nell’ambito dell’iniziazione cristiana».
Nonostante il Documento di base abbia superato i 40 anni, in Italia siamo ancora in una fase sperimentale. Secondo lei perché?
«Direi che non siamo in una fase sperimentale, ma di ricerca di “nuove vie”. D’altronde la necessità di sperimentare non è una novità nella prassi pastorale italiana, basti pensare alla redazione del Documento di Base che ha coinvolto il più possibile le comunità ecclesiali. Ma anche gli stessi primi catechismi sono stati redatti “per la consultazione e la sperimentazione” nelle varie comunità, prima di una loro stesura definitiva. Questo modo di procedere, allora come oggi, si fonda sull’ecclesiologia di comunione del Vaticano II che vede insieme Pastori, operatori e vita delle comunità impegnati nella doppia fedeltà al Vangelo e al tempo presente. Ricordo che nel 2008 è apparso un articolo su “Settimana” dal titolo: L’IC sarà sempre un problema? La risposta è sì, in quanto la Chiesa sin dalle sue origini, ha “generato” nuovi figli attraverso un efficace servizio di evangelizzazione e li ha “nutriti” con una pastorale ordinaria che ha visto nella catechesi il suo momento essenziale. Questo impegno di “far nascere” e “crescere” cristiane le nuove generazioni, ha trovato lungo la storia modi e tempi di attuazione adatti alle diverse situazioni sociali. Siamo in un nuovo tempo: abbiamo bisogno di un rinnovamento per essere “al passo coi tempi”».
Quali sono stati, in questi anni, i punti di forza e quali i punti di debolezza del rinnovamento dell’iniziazione cristiana?
«Dall’indagine che ho potuto curare durante il mio servizio in CEI, ho rilevato alcuni “punti di forza”: l’accresciuta sensibilità missionaria nelle comunità, una responsabilità condivisa con una dimensione comunitaria più accentuata, il coinvolgimento/accompagnamento delle famiglie, la sottolineatura del protagonismo dei ragazzi negli itinerari formativi, l’obiettivo condiviso di una formazione alla globalità della vita cristiana e la riscoperta della centralità della domenica e dell’eucaristia. All’opposto mi sembra che più che di punti deboli possiamo parlare di “questioni aperte” che, a mio parere, permangono e necessitano ancora di ulteriori studi e approfondimenti, sintetizzabili in sette binomi: obbligatorietà/proposta libera delle nuove esperienze, con tensioni in sede diocesana e parrocchiale; ripristino/mantenimento dell’ordine teologico dei sacramenti; famiglia/comunità (la famiglia riferimento centrale ma non esclusivo, in quanto la comunità è più e oltre la famiglia); ragazzi/adulti, soggetti che vanno entrambi salvaguardati; modello/ispirazione (o logica) catecumenale; dottrina/esperienza (quale equilibrio?); mistagogia/pastorale giovanile (quale sinergia?)».
La nostra diocesi si scommette ancora sul ripensamento dell’iniziazione cristiana. La potremmo chiamare una seconda sperimentazione, come in altre diocesi d’Italia. Secondo lei da quali premesse ripartire?
«La diocesi di Caltagirone, a mio avviso, ha scelto la via più “lunga” ma anche la più proficua: non partire da un decreto vescovile, ma da una riflessione comunitaria sulla problematica per individuare la strada percorribile da tutte le parrocchie. Per cui il “lavorare” come clero e come operatori pastorali per “mentalizzarsi” e ricercare soluzioni attuabili, potrà dare i frutti sperati di una autentica “conversione pastorale” condivisa da tutte le realtà ecclesiali che, di sicuro, culminerà in una scelta diocesana del Vescovo».
Un’iniziazione cristiana a tappe. Sembra questo il modello che si va affermando. Può introdurci a questa idea?
«L’ispirazione al catecumenato antico ha indotto a scegliere di seguire un’iniziazione cristiana a tappe concluse in se stesse e verificabili, di modo che non si passa alla tappa successiva se non si è raggiunto l’obiettivo precedente. Questo in fondo è un criterio eminentemente pedagogico».
Quali sono i soggetti dell’iniziazione cristiana? E come possono operare in sinergia e comunione?
«Dall’osservatorio dell’Ufficio Catechistico Nazionale ho potuto individuare più soggetti che sinergicamente contribuiscono al rinnovamento dell’IC. In ambito diocesano, di sicuro i vescovi, gli organismi diocesani di partecipazione (Consigli episcopali, presbiterali, pastorali; assemblee dei decani o dei vicari di zona) e gli uffici diocesani interessati (catechesi, liturgia, carità, famiglia, giovani…). In ambito parrocchiale il primo soggetto responsabile dell’iniziazione cristiana, con il suo ruolo specifico di guida della comunità e del suo discernimento, coordinatore dei vari percorsi, formatore degli accompagnatori e degli adulti in genere, presidente delle varie celebrazioni, è il parroco. Accanto a lui, il Consiglio pastorale parrocchiale ed il Gruppo di progetto/accompagnamento parrocchiale (o interparrocchiale) formato dall’insieme degli operatori pastorali capaci di tessere relazioni educative attorno ai ragazzi e alle loro famiglie (parroco, religiosi/e, catechisti-accompagnatori, animatori della liturgia, della Caritas e dell’oratorio, educatori Acr, capi Scout, genitori e padrini)».
Cosa si chiede alle famiglie?
«Il coinvolgimento delle famiglie è motivato dalla loro responsabilità originaria nella trasmissione della fede ai figli, ma anche dall’opportunità offerta loro dalla parrocchia per essere re-iniziati alla fede. Dalle esperienze prese in esame, si delineano almeno quattro tipologie di coinvolgimento delle famiglie negli itinerari iniziatici dei figli: la catechesi alle famiglie, nelle famiglie, con le famiglie e familiare. In ogni caso si chiede loro di coinvolgersi pienamente nell’itinerario di fede dei figli».
Cosa augura alla Chiesa calatina in questo percorso? 
«L’augurio che formulo alla Chiesa calatina è di mettersi tutta in “stato di missione permanente” per uscire verso coloro che non conoscono Cristo (o fanno finta di non conoscerlo) anche attraverso il rinnovamento dell’iniziazione Cristiana, affinché comprendano che solo in Gesù è la nostra salvezza, in quanto via per vivere una vita bella e buona».

4 dicembre 2013