Festa di San Giuseppe lavoratore. Festa di responsabilita’ e di speranza

CALTAGIRONE – La Chiesa celebra domani, 1° maggio, la memoria liturgica di San Giuseppe lavoratore.
«La celebrazione di questa festa, oggi, in questo tempo difficile per molti fratelli e sorelle e per numerose famiglie – afferma il vescovo di Caltagirone, mons. Calogero Peri -, acquista un’eco e una rilevanza considerevole, non solo all’interno della comunità ecclesiale, ma anche per la comunità civile. Davanti alle gravi condizioni sociali di molti e alla complessità economica di questo lungo periodo di crisi, non possiamo fermarci alle astratte enunciazioni, ma è necessario l’impegno e la responsabilità di tutti, in particolare di chi ha il potere di intervenire».
È un appello convinto quello che mons. Peri indirizza alla comunità calatina.
«La Chiesa ha una lunga tradizione di aiuto concreto – continua il vescovo -. Dobbiamo rimettere in circolo tutta la creatività e la generosità del Popolo di Dio, e allo stesso tempo illuminare con la sapienza del Vangelo questi nostri giorni, affinché nel problema e nella crisi possano pian piano emergere le soluzioni, che non potranno più fare a meno di una vera e propria conversione dei cuori, di un autentico rispetto della dignità della vita e del lavoro. Non si può più attendere perché la situazione è drammatica».
Mons. Peri si rivolge inoltre «a tutti gli uomini di buona volontà affinché si adoperino con convinzione e generosità per il bene e la giustizia sociale» invitandoli «a non trincerarsi dietro a vaghe promesse, ma a riscoprire i bisogni e le necessità delle persone, e a rispondere alla sfide di questo tempo con responsabilità e verità».
La festa di San Giuseppe lavoratore fu istituita nel 1955 da papa Pio XII, con l’intenzione di affidare ogni uomo che lavora sotto la custodia dell’umile artigiano di Nazaret, e di proporre ufficialmente la figura di San Giuseppe come modello per i lavoratori.
Si introduceva, così, una prospettiva religiosa in una giornata la cui origine risaliva al 1° maggio 1890, giorno in cui simultaneamente i lavoratori di vari Paesi per la prima volta chiedevano, con pubbliche manifestazioni, la riduzione dell’orario di lavoro ad otto ore.
Nascerà da qui la festa del lavoro, che la Chiesa volle illuminare con l’esemplarità dell’artigiano di Nazaret, cui fu affidato Gesù.
Per l’occasione, come ogni anno, la Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace della Conferenza episcopale italiana, ha rivolto un messaggio al mondo del lavoro. Il tema scelto dai vescovi quest’anno è molto eloquente: Nella precarietà, la speranza.
Nel testo i vescovi della pastorale sociale chiedono «a tutti una particolare empatia, davanti ai tantissimi drammi sociali».
«Non si tratta più – si legge nel testo – semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi non sono “sfruttati”, ma rifiutati, “avanzi!”».
Come icona biblica i vescovi propongono il brano evangelico della pesca miracolosa (Lc 5,1-11).
A fronte del dramma delle reti vuote i vescovi richiamano tre condizioni essenziali per reagire: solida formazione, coraggiosa volontà d’impresa, fraterna cooperazione.
«Ci rendiamo conto degli errori commessi» è la conclusione del messaggio, ma vogliamo intraprendere «strade di solidarietà, che non portino allo scarto ma all’incontro solidale con i giovani e i fragili».

30 aprile 2014