Tu dona, perdona e libera…

La nuova lettera pastorale di mons. Calogero Peri nel 7° anniversario dell’inizio del suo ministero episcopale a Caltagirone

 

L’ordine dei vescovi, il quale succede al collegio degli apostoli nel magistero e nel governo pastorale, nel quale si perpetua il corpo apostolico, è anch’esso insieme col suo capo, il romano Pontefice, e mai senza questo capo, il soggetto di una suprema e piena potestà su tutta la Chiesa (LG 22).

È dunque evidente che tra i compiti più importanti e propri di un Vescovo  c’è, accanto al Governo e alla funzione Sacramentale (sacerdotale), la custodia gelosa del “deposito della Rivelazione” e l’annuncio autentico della Parola, bene prezioso che garantisce tutti gli altri per la retta Fede dei credenti e la sana dottrina della Chiesa universale.

Ogni Vescovo dalla sua cattedra è chiamato a farsi maestro di tanta Fede nella storia di ogni Chiesa, attraverso una lettura “incarnata” dei “segni dei tempi”, che – come ci ha insegnato il Concilio – rendono presente e attuale, oltre che credibile e progettuale, una Fede chiamata a farsi anima, luce e guida del pellegrinaggio terreno di ogni credente, e infine di ogni uomo.

È alla radice di questa missione originale della Chiesa che si colloca il testo della Lettera di Mons. Calogero Peri, che ha per titolo: Tu dona, perdona e libera… Papa Francesco sottolinea insistentemente con grande forza questa consegna di Cristo alla Chiesa, con la formula ormai familiare di “Chiesa in uscita”, dove l’uscire significa:

  • il coraggio della aperta testimonianza che renda splendente la forza del Vangelo, da offrire a tutte le genti, non con presunzione miracolistica, quasi calata dall’alto, ma come risposta dinamica risolutiva di ogni attesa del cuore umano;
  • una Parola non ideologica o strumentale ai disegni terreni, ma seme da spargere a piene mani fino ai confini della terra e della storia;
  • fermento capace di “agitare” la coscienza dei buoni e retti di cuore, come inquietudine dell’anima da mediare attraverso la fedeltà alla vocazione battesimale, che educa il credente non soltanto nell’arte del “fare” le cose (pur doverose e necessarie sul piano della soluzione dei problemi umani o socio-culturali)…
  • …ma dell’“essere” discepoli generosi di Colui che ha dato Se stesso per la salvezza del mondo, consegnandoci alla fantasia dello Spirito, che soffia dove e quando vuole, anima che precede il fare;
  • che significa abbandonarsi allo spirito delle Beatitudini che chiede a tutti e a ciascuno di farsi “misericordia”, di riempire la vita “fin nelle sue più nascoste espressioni… di amore, di tenerezza, delicatezza, conforto, cura e sostegno…” facendo sì che tutte le nostre relazioni siano agire “di uomini e donne misericordiosi” (n.1);

Poste tali premesse, è chiaro che il tema della “relazione” emerge come il fil rouge che sottende tutta la Lettera. Essa si snoda lungo sette capitoli che parlano di dono, perdono, libertà, preghiera con profondità e sottile elaborazione spirituale e ascetica.

Fino alla parte conclusiva in cui si staglia con perentorietà il “ma io vi dico”, che nel linguaggio di Gesù, significa compimento e perfezionamento della legge, e che lancia ai discepoli la “grande sfida” dell’annuncio e dell’apostolato, che chiamiamo Evangelizzazione.

In forza di tale sfida ai discepoli di tanto Maestro non è consentito “addomesticare il vangeloannacquarlo, stravolgerlo, per adattarlo a quello che sappiamo, e sappiamo fare. Perché il Vangelo ci annuncia e ci dà la possibilità di vivere in maniera nuova, oltre le nostre possibilità umane” (n.86).

È la gioia del Vangelo il grande “segno dei tempi”; ce lo ha detto con un’enfasi entusiasmante Papa Francesco all’alba del suo pontificato; e non si può non fare proprio questo input potente, che deve generare “una pastorale privilegiata, un dovere e qualcosa di più che lo Spirito ci chiede insistentemente. È soprattutto una urgenza ed una necessità, che non possiamo declinare o dilazionare. Ce lo chiede Dio perché ce lo chiedono gli uomini, che sono disorientati e molto smarriti” (n.87).

In fondo a questo smarrimento cova come brace mai sopita l’ansia del cuore umano di smetterla con le grettezze e gli egoismi beceri, con i muri malinconici e le chiusure assurde, coi pregiudizi e le conflittualità grottesche e insensate, per “tornare a far comunione”: “abbiamo smarrito la strada dello stare insieme, dell’unità e della comunione. Perché forse, semplicemente abbiamo smarrito la strada dell’amore, del prendere e soprattutto del donarsi senza misure. Abbiamo iniziato a misurare e pesare tutto, e anche il cuore. E così non funziona più nulla e soprattutto la vita” (n. 87).

Sono innumerevoli gli spunti e le provocazioni che la Lettera di Mons. Peri dissemina di pagina in pagina, costringendo il lettore a ripensare e ripensarsi dalle fondamenta. Perciò è stata consegnata come scenario di ogni progetto pastorale possibile, da leggere e rileggere individualmente e comunitariamente, perché esploda finalmente non l’arida progettualità di un fare pastorale quasi burocratico, ma lo splendido entusiasmo del sentirsi “invasi” dalla imprevedibilità dello “Spirito che soffia dove vuole, non sai da dove viene e dove va” (cfr Gv 3,8) e, a volte per dirla col Concilio Vaticano II, fa anche utilmente sbattere nella Chiesa porte e finestre.

Come “segno” da valorizzare in prospettiva futura, il Vescovo dispone che venga celebrata ogni anno con Solennità la data del 4 Luglio a ricordo della sua Consacrazione come Cattedra e Chiesa-Madre della Diocesi; e in tutte le Chiese anche il 12 settembre, ricorrenza annuale della erezione della nostra Diocesi.

 

 

don Gianni Zavattieri

Direttore Ufficio delle Comunicazioni Sociali

 

21 marzo 2017

 

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