Per un’altra via. La nuova Lettera pastorale di mons. Peri

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«Se l’uomo vuole trovare la via, la verità e la vita, deve interrogare le stelle; se vuole meglio conoscere la terra, deve alzare lo sguardo verso il cielo, dove ci sono le luci nella notte e, soprattutto, le luci della notte. Non si può prescindere dalla notte per viaggiare verso la luce o trascurare l’oscurità per trovare la soluzione» (Per un’altra via. L’incontro che cambia la vita e la via, n. 7)

Nel buio la luce
Nella notte, al buio, cerchiamo Dio ma non lo troviamo. Eppure è nell’oscurità che va ricercata la luce. Se ci riesce difficile vedere Dio là dove non pensiamo che sia è perché restiamo «ancorati alle nostre convinzioni e consuetudini, senza metterci in discussione, senza cercarlo ed amarlo con passione. Con un cuore tiepido, ancorati alla ripetizione di gesti e parole, la storia cammina, Dio nasce, i veri cercatori di Dio continuano a scommettersi e noi restiamo sempre al capolinea. Rischio che probabilmente corriamo più di quanto pensiamo o non pensiamo» (Per un’altra via. L’incontro che cambia la vita e la via, n. 15). È quanto scrive mons. Calogero Peri, vescovo di Caltagirone, nella sua nuova Lettera pastorale per l’anno 2014: Per un’altra via. L’incontro che cambia la vita e la via. La lettera invita i credenti a percorrere “un’altra via”, a farsi inquietare dal Vangelo. L’altra via della fede è infatti «alternativa a tutte le nostre vie e a tutte quelle indicate dagli uomini» (ivi, n. 26) e apre infatti percorsi impensati, schiude prospettive impreviste e imprevedibili. L’azzardo della fede ci chiede di superare la convinzione che tutto sia un déjà vu e non ci possa essere niente di nuovo sotto il sole. L’intento del vescovo calatino è indicare con semplicità una metodologia spirituale che aiuti a individuare un’altra via. «Ritrovare anche per noi – scrive nella Lettera – per il nostro tempo, un’altra via a partire dalla fede vissuta, sulla quale procedere con la luce negli occhi e la speranza nel cuore, sarebbe indubbiamente utile per non smarrirsi nel buio e nella paura di vivere che, come un ospite inquietante, oggi si annida nel cuore di molti» (ivi, n. 3).

Dall’alienazione all’alterità
Non è un caso che anche nella Lettera pastorale del 2013, Passiamo all’altra riva, scritta in occasione dell’Anno della Fede, ricorra la stessa parola chiave “altro”. Quello dell’alterità è un tema centrale nel magistero di mons. Peri e ancor prima nel pensiero del filosofo Peri, sin da quando, docente alla facoltà teologica di Palermo teneva le sue lezioni di antropologia. Nel suo testo, L’uomo è un altro come se stesso, Peri scrive che è un’esigenza morale ineludibile quella «di riconoscere l’altro per chi è stato riconosciuto, di rispettare ogni altro per chi è già altro» (L’uomo è un altro come se stesso, Sciascia Editore, Caltanissetta 2002, p. 313). È il rovesciamento del rapporto io-tu – che ha così profondamente segnato il pensiero occidentale -, nel rapporto tu-io: dal “tu”, dall’alterità mi proviene il senso che sono io. Una rivoluzione copernicana che dall’antropologia non può non riversarsi nell’ecclesiologia e quindi nell’azione pastorale. Nel magistero di mons. Peri si può leggere una costante: il tentativo di condurre i fedeli a mutare prospettiva e angolo visuale, per guardare da un punto di vista “altro”. O meglio: per farsi guardare da un punto di vista “altro”, accogliendo la diversità come un dono. «Un’altra strada – scrive mons. Peri – è prima di tutto diversa. Altra da quella che conosciamo e che percorriamo. Se non altro differente da quella per la quale siamo venuti, che ci è nota, che ci ha permesso di arrivare al presente e attraverso la quale abbiamo costruito quello che siamo» (Per un’altra via, n. 22). È un sentiero mai battuto prima, in cui ogni passo ha il sapore della novità. È «la strada che evita di farci accontentare di quel che siamo ed abbiamo o che vuole evitare di farci rassegnare a quanto già conosciamo» (ivi, n. 24). È un viaggio dentro di noi per andare oltre noi. Con una precisazione importante: “andare oltre” non è “andare fuori”: il primo è il cammino liberante dell’alterità; il secondo quello soffocante dell’alienazione. «Per un’altra strada significa pure scoprire l’altro e Dio dentro di noi. Perché l’altra strada prima di essere fuori è dentro di noi» (ivi, n. 28). È il grande insegnamento agostiniano: «Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore homine habitat veritas: et si tuam naturam mutabilem inveneris, trascende et te ipsum» [Non andare fuori di te, ritorna in te stesso, la verità abita dentro l’uomo: ma se vi avrai trovato la tua natura incoerente, supera anche te stesso] (S. Agostino, De vera religione, 39, 72).

Un percorso nuovo e inverso
La Lettera, annunciata dal vescovo calatino in occasione dell’Epifania e dedicata a «tutti i cercatori di Dio, consapevoli, coscienti, appassionati o delusi e illusi», prende spunto proprio dall’icona biblica dei magi (Mt 2,1-12) «che dopo aver incontrato, nella fede, il Salvatore del mondo, fanno ritorno al loro paese percorrendo non la stessa strada dell’andata, bensì un’altra».
«Questi misteriosi personaggi – spiega mons. Peri nella Lettera – vengono da lontano, dal lontanissimo oriente verso occidente e, dopo lo straordinario e silenzioso incontro con un neonato, se ne ritornano al loro paese, ma per un’altra via, e sicuramente pure per un’altra vita. In quanto una via altra è sempre una vita altra» (ivi, n. 3). I magi seguono una direzione che va contro ogni logica umana: camminano da oriente a occidente per cercare il sole là dove tramonta; interrogano la notte per trovare la luce. «Appare molto strana – spiega Peri – la logica con cui Dio li chiama e li guida. Li fa viaggiare dall’oriente verso l’occidente. Percorso nuovo ed inverso, per cercare il nuovo sole e il nuovo giorno, esattamente dove l’uno finisce e l’altro tramonta. Non a caso Dio spesso ci orienta disorientandoci» (ivi, n. 10). La Lettera è divisa in sei capitoli, più una premessa: I. Verso un altro oriente; II. Verso un altro occidente; III. Il passaggio per Gerusalemme; IV. Dalla stella alla stalla dell’incontro; V. Per un’altra via; VI. La strada della debolezza, ma che sia tenerezza; VII. Un’altra strada per fare il ritorno.

Oltre gli schemi
La fede non può prescindere dal buio, che costituisce l’orizzonte in cui cercare la luce. Nell’oscurità, là dove tutti vedono il nulla, si cela la soluzione: «Se l’uomo – commenta Peri – vuole trovare la via, la verità e la vita, deve interrogare le stelle; se vuole meglio conoscere la terra, deve alzare lo sguardo verso il cielo, dove ci sono le luci nella notte e, soprattutto, le luci della notte. Non si può prescindere dalla notte per viaggiare verso la luce o trascurare l’oscurità per trovare la soluzione» (ivi, n. 7). Le stelle possono nascondersi ai nostri occhi, ma «sebbene le possiamo smarrire, sicuramente non scompaiono e non ci abbandonano, perché le stelle si vedono sempre nel loro sorgere, mai nel loro tramonto. Esse sono fatte per risplendere in ogni nuova notte e per guidarci in ogni tipo di buio. Nella notte si può perdere la bussola non la stella, l’orientamento non la speranza, la certezza non la verità, la sicurezza non la pace: si può perdere veramente tutto, ma non Dio che solo può “fare rifulgere la luce dalle tenebre”» (ivi, n. 13). Se dunque non le vediamo è per un errore di prospettiva: non ci hanno abbandonato; siamo piuttosto noi che guardiamo con una focalizzazione sbagliata, tutta centrata su di noi.
È il paradosso cristiano: perdersi per ritrovarsi. Chi si arrocca dentro propria identità ha uno sguardo alienato che nel cielo vede solo il buio; chi invece si “fa guardare” da una prospettiva “altra” riacquista la luce delle stelle. Ma bisogna uscire fuori dai propri schemi: «Essere guidati fuori dai nostri schemi per guardare meglio dentro la notte – si legge nella Lettera – ci porta a scoprire la luce dove ci accaniamo a pensare che ci sia esclusivamente buio. Ci spinge a coltivare la scienza e la coscienza di sapere che nel problema c’è anche la soluzione, esattamente come accade che nel buio ci siano pure le stelle. C’è luce e ci sono indicazioni in ogni notte come in ogni problema» (ivi, n. 5).

Una scandalosa prossimità
È il Deus absconditus quello proposto da mons. Peri, che si svela e ri-vela in un gioco perenne con l’uomo, il gioco della fede. Non è tuttavia un Dio remoto, lontanissimo, che si fa raggiungere solo per vie mistiche inaccessibili ai più. È semmai vicinissimo. È nascosto ai nostri occhi solo perché i nostri occhi hanno uno sguardo sfocato: «Dio – avverte il vescovo – ama nascondersi in noi, negli altri e nel mondo, e ama per questo farsi cercare e incontrare quando percorriamo un’altra strada, che non sia quella della chiusura, dell’autoreferenzialità, dell’egoismo irrefrenabile. Quella che ci permette di incontrare autenticamente» (ivi, n. 33). L’altra via, la via nuova è quella «che ci invita a fidarci degli altri, che ci toglie dalla tentazione di pensare che sappiamo tutto noi o che siamo detentori del bene, della verità, della soluzione migliore» (ivi, n. 23). La prossimità di Dio è scandalosa, tanto che stentiamo a vederla: «Per incontrarlo e riconoscerlo, ieri come oggi, dobbiamo sapere guardare giù, dentro la carne e le ferite degli uomini, nelle loro fragilità e nelle loro tenebre» (ivi, n. 19). Ma chi si inoltra in questo cammino non torna più suoi passi: la via del ritorno è anche la via di un’altra vita.

Per una cultura della diversità
Più che una cultura dell’identità, chiusa e autocentrata su di sé, mons. Peri propone una cultura della diversità, dell’altro, visto non come problema ma come via per incontrare l’Altro, e ci invita a porci alcune domande scomode: «quale atteggiamento e considerazione abbiamo della diversità e per quelli che consideriamo diversi? Quale accoglienza per chi è diverso da noi per il colore, la cultura, la religione, le convinzioni? Siamo disposti, disponibili a comprendere, capire, rispettare, apprezzare l’altro diverso da noi, per non chiudere progressivamente la porta dell’intelligenza, della casa e del cuore? La nostra vita è una monotona ripetizione dalla quale non siamo disposti e disponibili a distaccarci?» (ivi, n. 22). Siamo, insomma, asserragliati nella reggia di Erode, spaventati da ogni novità, e disposti anche ad uccidere per conservare le nostre posizioni di comodo; o siamo in cammino con i magi verso l’inaudita sorpresa della povera stalla?
L’auspicio di mons. Peri, a conclusione della Lettera, è che tutti i cristiani, che almeno una volta hanno veramente incontrato il Cristo, si siano «riscaldati al suo amore, fino a diventare luce e sale della terra» e abbiano «visto in cielo la sua stella e anche il sole della sua Parola» (ivi, n. 40). Chi ha sperimentato questo incontro infatti ne è stato contagiato per sempre. I cristiani sono chiamati «ad essere luce nel buio fin da ora e in tutte le notti, perché quando scende l’oscurità qualcuno rischiari le tenebre per sé e soprattutto per gli altri (cf. Sap 3,1-9)» (ibidem). È un compito arduo ma affascinante, quello prospettato da mons. Peri: «Mi auguro che per questo diventiamo seminatori di stelle sulle strade degli uomini e spandiamo frammenti di luce, di tenerezza e di gioia nella notte del mondo, di quella luce di amore che orienta a Cristo, sole che non conosce tramonto e che solo può illuminare tutti gli uomini e, ad ogni uomo, tutto il suo mistero» (ibidem).

Giacomo Belvedere

Per acquistare la Lettera pastorale, Per un’altra via. L’incontro che cambia la vita e la via, al costo di 2,00 euro, rivolgersi a:
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