Amatissimi Presbiteri della Chiesa di Caltagirone,
nello scorrere inarrestabile del tempo e della nostra vita, ancora una volta, ci apprestiamo a vivere gli eventi e soprattutto lo spirito del Giovedì Santo. Nel calendario liturgico, questo è un giorno fondamentale per ogni credente ed eccezionalmente evocativo per noi presbiteri. Perché il Signore Gesù ci chiede, come ai dodici, di seguirlo e di entrare nell’atmosfera solenne e drammatica del Cenacolo. Ci invita a mangiare con lui, in maniera nuova, la sua Pasqua. Ci invita, infatti, a nutrire e a nutrirci di lui, pane di vita eterna. A prendere e mangiare il suo corpo come cibo, a bere il suo sangue quale bevanda, e quale lascia passare alla vita.
Il Cenacolo è il luogo originario dove Gesù, “prima di passare da questo mondo al Padre, avendo amati i suoi che erano nel mondo, li amò fino al compimento” (Gv 13,1). Sappiamo che giunta la “sua ora”, invece di voltare le spalle alla volontà del Padre, volle entrare decisamente nella gloria che il Padre suo gli stava preparando, offrendogli il calice della croce e chiedendogli l’offerta di tutta la sua vita. Cosa che Egli fece in obbedienza sofferta a Dio e con l’amore più grande che si possa immaginare.
Quella notte, senza riserve e con un bruciante desiderio di donazione, egli ci donò contemporaneamente l’Eucarestia, il Sacerdozio e il Comandamento dell’amore. Spezzò il suo corpo come pane e ce lo diede in cibo. Nel suo sangue versato stabilì la nuova alleanza, e ne fece una coppa di salvezza per tutti. E perché quel gesto non restasse un atto isolato, istituì il sacerdozio ministeriale, affinché da parte dei suoi discepoli, si perpetuasse nei giorni, sino alla fine del tempo, il fare dono agli altri della propria vita. A ulteriore garanzia di autenticità, volle che tutto questo si facesse in sua memoria e sull’esempio dell’amore estremo che Egli ha per ciascuno di noi. Per questo ci diede il comandamento di amarci solamente secondo la sua misura e di farci dono agli altri come pane spezzato.
È chiaro, carissimi fratelli nel sacerdozio, che per attuare ed attualizzare un esempio così eccezionale e un amore così smisurato, non ci si può affidare all’improvvisazione o senza mettersi totalmente in gioco. Ma ci si prepara lentamente, in tutta la nostra vita e con tutte le nostre forze. Da quanto accadde quella notte, nasce per tutti noi l’esigenza e l’urgenza di preparare la Pasqua. Anche a noi, come ha fatto con Pietro e con Giovanni, il Signore rivolge l’invito di andare a preparare il tutto, e di prepararci tutti, per potere mangiare la Pasqua.
Mi chiedo cosa può significare concretamente per noi, qui ed ora, preparare ed essere pronti per la Pasqua. Cosa può significare per ciascuno di noi, per la nostra Chiesa, per questo tempo, per il nostro territorio, preparare oggi la Pasqua. Nel comunicarvi una prospettiva, tra le tante che preparare la Pasqua può significare, voglio soffermarmi su quel “per noi”, che in questo momento attira la mia attenzione. Il Signore invita i suoi discepoli a fare i preparativi con queste parole: “andate a preparare per noi”.
Per noi, perché per il servizio che svolgiamo all’interno della comunità cristiana siamo subito proiettati a prepararla per gli altri. Magari a prepararla con gli altri. Ad essere animatori di una preparazione i cui primi destinatari non siamo noi ma i nostri fedeli. Per gli altri, durante la quaresima, organizziamo le celebrazioni, il sacramento della riconciliazione, la pia pratica della via crucis, gli esercizi spirituali e tanto altro.
Per noi, per quella dimensione comunitaria, di comunione profonda e sincera che sempre la nostra vita deve mostrare e che il nostro agire deve immediatamente rendere presente. Per noi, prima di avere una connotazione ecclesiologica come parrocchia, come diocesi, come Chiesa locale ed universale, esprime quel “noi presbiteri”, che non possiamo dare per scontato, specialmente se vogliamo sia evidente quella tensione di tutti ad essere e a vivere come presbiterio. Il noi, che esprime il nostro essere presbiteri in comunione, deve per questo e precedentemente esprimere il nostro essere un solo presbiterio.
Dico che precedentemente deve esprimere il nostro essere presbiterio, perché nella Chiesa il noi è fondamento e fondamentale per poter dire presbitero e per potere essere Chiesa. È la comunione che ci ha consacrati presbiteri. È la comunione di Dio, della Chiesa, del Vescovo, del presbiterio, che a partire da Gesù Cristo e dagli Apostoli, che a partire da tanto lontano, attraverso persone concrete e diverse, è arrivata a noi. Ed è concretamente un presbiterio che ci ha riconosciuti e accolti all’inizio, e che concretamente dovremmo abitare sempre e per sempre.
Per noi, perché se la logica ecclesiale inizia dal noi per arrivare all’io, ci richiama contemporaneamente ad un coinvolgimento in prima persona e totale. II noi della Chiesa, del presbiterio, ci permette di essere membra distinte, ma di un unico corpo. Allora i veri preparativi nascono dal verificare quanta disponibilità trovo in me e offro di me per non arrivare alla Pasqua per forza d’inerzia, o semplicemente affaticato dalle tante cose che abbiamo fatto. O forse che abbiamo dovuto fare, con più o meno convinzione, con maggiore o minore partecipazione. Una presenza gioiosa e da protagonisti, per preparare la Pasqua, è garanzia indispensabile per entrare nell’atmosfera del cenacolo di Gerusalemme e di quello della nostra Chiesa.
Per noi, però, non significa e non rilancia lo stile delle corporazioni o delle rivendicazioni di parte, ma ancora una volta e ancora di più, quello della comunione e della collaborazione, quello dell’unità e delle differenze, quello dei carismi e dei servizi, quello della stima e della promozione reciproca, quello del perdono e della misericordia. Lo stile che mette al bando le lotte, l’invidia, la gelosia, la maldicenza, la rivalità… Quello che mette al bando tutto ciò che non viene dallo Spirito e da Dio, dall’unica fede, dall’unica speranza e soprattutto dal sacramento della carità.
Per noi esprime l’esperienza della massima accoglienza, dell’accoglienza di tutti. Per noi, nemmeno a ribadirlo, include il papa, i vescovi, i presbiteri, i diaconi. Include i consacrati, i movimenti, i gruppi, le associazioni, le confraternite, i fedeli, i parrocchiani. Ma include, a titolo proprio e inclusivo, tutti gli uomini in generale e ogni uomo particolarmente. Perché “per noi”, per noi che vogliamo dirci ed essere cristiani, ha e non può che avere un solo e particolare significato, non può che significare: “per noi tutti, “per tutti noi uomini”. Per noi, non ribadisce un qualche steccato, ma li abolisce tutti, naturali, culturali, sociali e religiosi: tra maschio e femmina, tra giudeo e greco, tra schiavo e libero. Perché nella Pasqua di Gesù, che noi suoi discepoli dobbiamo preparare, egli ha abbattuto il muro che era frammezzo, affinché, come ha pregato Gesù nel cenacolo: “tutti siano uno, come noi”. E questa volta il noi esprime la comunione trinitaria, sulla quale soltanto possiamo modellare il nostro “noi” e la nostra pacificazione. Preparare la Pasqua per noi, deve significare, per noi credenti in Cristo, lasciarci strappare ai nostri orizzonti umani e farci trasferire in quelli di Dio, che per noi e per la nostra salvezza ci ha dato il suo Figlio. E ce lo dona ancora, per mangiare il pane della vita, e camminare con sincerità di cuore in Cristo nostra Pasqua.
Auguri fratelli, prima a voi che avete ricevuto il sacerdozio ministeriale e poi a quelli che hanno quello battesimale, perché possiamo mettere mano a preparare la Pasqua del Signore. Ma veramente, e veramente “per noi”.
Caltagirone, 17 aprile 2011
Domenica delle Palme
+ Calogero Peri