Messaggio del Vescovo per il Natale 2012

INDIRIZZO AUGURALE DI S.E. MONS. CALOGERO PERI
IN OCCASIONE DEL SANTO NATALE

Caltagirone, 24 dicembre 2012

Siamo, ancora una volta, al Natale del Signore.

Dobbiamo subito dire che a questo Natale arriviamo come ad un appuntamento non tanto sereno per il contesto nel quale esso si colloca, almeno se questo lo valutiamo da un punto di vista umano.

Anche quest’anno abbiamo dovuto prendere coscienza della crisi generale nella quale siamo immersi. Pertanto, nel cuore, nella vita, nei sentimenti di tutti, c’è quel senso di sfiducia e di disorientamento che ci pone tanti interrogativi e perplessità.

Nello stesso tempo siamo stati catturati, forse in maniera artificiosa, dalla “fine del mondo”. Ci siamo preparati emotivamente a vivere questo giorno, chi ci credeva e chi no, e chi ci credeva lo attendeva come un appuntamento, che in qualche modo, ci avrebbe segnati. E così, in fondo, siamo arrivati a Natale.

 

Io vorrei esprimere i miei auguri, in quest’anno, non collocandomi su questo registro, della crisi e della difficoltà. Questa lettura mi sembra troppo scontata. Io penso che questa crisi, questo momento di disorientamento, di perplessità che viviamo, debba trasformarsi in una grande occasione per vedere sino in fondo in questa nostra società, e dunque anche dentro ciascuno di noi, e conoscerne le cause. Questa crisi viene da un aspetto più profondo del nostro vissuto personale e sociale e quindi universale.

Ecco perché qui si tratta di capire, veramente, se si sono fatti i calcoli giusti.

Abbiamo vissuto per tanto tempo pensando che le nostre scelte, le nostre decisioni, personali e comunitarie, alla fine non avessero risvolto. La storia ci dimostra, invece, che alla fine ci si presenta il conto. Come si dice: tutti i nodi vengono al pettine.

Dinanzi a questo possiamo metterci in quell’atteggiamento di chi attende che qualcuno risolva i problemi, che qualcuno offra la soluzione, che qualcuno indichi la via d’uscita. Oppure forse come maggiore saggezza, ciascuno deve fare appello ad una sua maggiore responsabilità, ad un suo maggiore coinvolgimento, chiedendosi: che cosa posso dare di più o di meglio, affinché il risultato finale sia diverso da quello che per tanto tempo abbiamo vissuto e condiviso?

Ecco, scambiarsi gli auguri del Natale, significa che Dio non si spaventa delle tenebre, delle difficoltà, delle paure degli uomini. Anzi il Natale ci dice che Lui, innanzi a queste difficoltà, di ieri e di oggi, che in fondo non si distaccano di molto, vuole scendere in campo, non come alcune volte pensiamo, ma per davvero per darci una mano dall’interno.

Ecco perché l’augurio del Natale che ci rivolgiamo lo dovremmo pensare non sognando lo zampone o i monti innevati, o tutto quel romanticismo che intorno al Natale, forse anche in maniera corretta, ci aspettiamo: perché il Natale nell’immaginario comune è sempre un momento di grande calore, di grande tenerezza, di sentimenti caldi della nostra vita. Lo dovremmo pensare, invece, in maniera nuova, perché il Natale giunge in una maniera del tutto diversa.

 

Se rileggiamo i fatti alla luce della Parola di Dio, ci accorgiamo che Dio deve intervenire oggi com’è intervenuto ieri. «Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse» [Isaia 9,1].

Ancora una volta Dio deve illuminare queste nostre tenebre, deve scendere in campo.

«La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta» [Giovanni 1,5]. Qui, secondo me, sta la sfida del Natale. La luce c’è, voglio che ci sia per me, voglio che ci sia per noi, per la nostra società, vogliamo che questa luce resti. D’altronde il Natale ci dice che Dio non entrerà con prepotenza. Non entrerà con forza. Non violenterà la nostra libertà, le nostre scelte e neppure la nostra lentezza. Sarà lui ad aspettare. Gesù è nato nella povera campagna di Betlemme, è entrato nella storia dalla periferia. Lui rimarrà nella periferia.

Lo sappiamo, «non c’era posto per loro nell’albergo» [Luca 2,7]. Non c’era posto a Gerusalemme. Infine hanno trovato posto nella periferia, a Betlemme, nelle campagna, in mezzo ai pastori. Ma già la luce comincia a risalire, comincia il suo percorso.

Non ci accorgeremo del Natale perché si presenta in maniera da attirare lo sguardo, in maniera da determinare un passaggio repentino da una condizione ad un’altra. Ma perché potrà innescare quei processi, mettere in atto quei movimenti, quel cammino che ciascuno di noi è impegnato a fare.

 

Ecco perché ritengo che ciascuno di noi dovrà interrogarsi: come voglio reagire, come voglio rispondere all’annunzio del Natale?

Lo sappiamo, l’annunzio del Natale è un annunzio personale. Rivolto per primo ai pastori «che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge» [Luca 2,8], cioè a quegli uomini, disposti nella notte, a lasciarsi svegliare dall’angelo. A loro però l’angelo dice: «Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore» [Luca 2,10-11].

Dio non nasce. Dio nasce per qualcuno. E quest’anno, in questo tempo, vuole nascere per noi, per me, per te, per ciascuno. E vuole per ciascuno una grande gioia.

Sarà questo in grado di mettere in movimento la nostra vita? Sarà capace di metterci nuovamente in piedi?

È bello vedere che ogni qualvolta l’annunzio del Natale è vissuto nella vita e soprattutto nel cuore e nell’accoglienza di una persona, la reazione è sempre la stessa: quella di alzarsi e di mettersi in viaggio.

Così fece Maria quando l’angelo le portò l’annunzio che era stata scelta da Dio per essere la madre del Salvatore. Lei «si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta» [Luca 1,39] la cugina Elisabetta. Così fecero anche i pastori.

 

Il Natale non è, però, solo un mistero che va esaurito in poco tempo. Ecco perché i tanti personaggi che ruotano intorno al Natale e che il Vangelo ci presenta hanno un significato storico, ma anche un significato esistenziale perché interpellano la nostra vita, e soprattutto hanno un significato teologico, cioè ci dicono cosa Dio ci propone e cosa l’uomo può rispondere.

Sappiamo che attorno a Gesù Bambino, questo Bambino che dobbiamo riconoscere come Dio, c’è chi si meraviglia, c’è chi si entusiasma, c’è chi ragiona, c’è chi si genuflette, c’è chi magari continua la sua vita come se nulla fosse accaduto. Però c’è Maria che ci insegna l’atteggiamento e la disposizione migliore per stare innanzi al Bambino. Ci dice il Vangelo: «Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore» [Luca 2,19].

Il mistero di Dio, anche quando siamo i diretti destinatari, è un mistero che va accolto,custodito, conservato, esattamente come ha fatto lei. Maria rappresenta un’alternativa al modo condiviso di vivere il Natale.

Il Natale, in fondo, invita l’uomo a impegnarsi non soltanto con la sua intelligenza, ma con il suo cuore, cioè con il centro vitale delle sue scelte, delle sue decisioni.

Ci accorgiamo, allora, come il Natale diventi veramente una sfida per noi. Una sfida che mette alla prova la nostra capacità di pensare il Bambino – che normalmente non ci dà l’immagine di Dio, della soluzione, l’immagine del Salvatore, di colui che può liberare, riscattare… perché ci aspettiamo sempre un Dio un po’ diverso da come viene, un Dio che quasi con la bacchetta magica risolva la storia, che dia l’avvio ad un processo nuovo – come il Dio che entra nella storia diventandone fermento, seme e chiede a noi di rimboccarci le maniche, di riconoscerlo, e addirittura di prenderci cura di Lui.

 

Mi ha sempre meravigliato, nella storia del Natale, che l’annuncio è: “Vi è nato il Salvatore”. Ma quando Gesù nasce sono gli uomini, Maria e Giuseppe, che lo devono mettere in salvo, fuggono in Egitto [Matteo 2,13-23].

Una contraddizione, diremmo, un paradosso. Eppure la storia viene risolta attraverso queste contraddizioni, questi silenzi, attraverso interrogativi e perplessità.

Ecco perché penso che, se abbiamo occhi attenti, oggi siamo invitati a leggere il Natale come la possibilità che durante questa notte, che dicevamo buia, oscura, impenetrabile, difficile, che a volte non vorremmo accettare, Lui ci inviti a guardare con maggiore attenzione le cose.

 

Mi piace che in quest’Anno della fede noi possiamo, guidati dalla luce della fede, ritornare a considerare la nostra vita secondo l’immagine che abbiamo in Abramo.

Anche lui aveva dei problemi, delle difficoltà, anche lui, come forse noi, aveva di che lamentarsi con Dio, non aveva figli, non aveva un futuro. Questo Abramo esprimeva a Dio con l’amarezza che il cuore dell’uomo vive quando la storia delude le attese.

Eppure, dice il Testo Sacro, Dio «lo condusse fuori e gli disse: “Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle”» [Genesi 15,5]. Dio non gli disse: non ti preoccupare, ti risolvo io il problema. Dio lo invitò, semplicemente, ad uscire fuori dai suoi schemi e a fissare lo sguardo proprio in quel buio della notte, per rendersi conto che anche nella notte ci sono punti di luce, ci sono le stelle.

Allora l’augurio che vorrei rivolgere a me e a voi è questo: non fuggiamo, non allontaniamoci, non voltiamo le spalle ai nostri problemi, alle nostre difficoltà, a quelle che ci toccano e ci inquietano, ma attraversiamole, guardiamo dentro a tutto questo e ci accorgeremo che quello che per noi forse è il problema in realtà è una soluzione. Nella storia della Salvezza avviene sempre così.

Anche Giuseppe pensava che Maria fosse un problema e che fosse meglio disfarsi della sua presenza. «Decise di licenziarla in segreto» [Matteo 1,19]. Ed invece l’annuncio dell’angelo, e cioè il messaggio secondo la fede, gli dice: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati» [Matteo 1,20-21].

Non temere Giuseppe di prendere con te Maria, perché proprio da lei, che in questo momento consideri come un problema, una difficoltà, un interrogativo, una presenza scomoda da gestire, proprio da lei viene la soluzione.

Ed allora l’augurio è: non fuggiamo da questo tempo e da questa storia perché dentro questo tempo e questa storia, ancora una volta Dio ha deciso di nascere e di far nascere la nostra gioia, la nostra pace e la nostra speranza.

Auguri a tutti perché ciascuno, dalla sua debolezza, dalle sue tenebre, dalla sua notte possa trovare l’indicazione di un fremito di luce!

 

Il discorso è stato pronunciato “a braccio” e trasmesso dall’emittente televisiva Tele Radio Vita di Caltagirone.