Messaggio per l’Avvento (2011)

MESSAGGIO DI S. E. MONS. CALOGERO PERI
ALLA CHIESA DI DIO CHE È IN CALTAGIRONE
PER L’AVVENTO 2011

“La nostra liberazione è vicina”

Carissimi presbiteri e diaconi.
Carissimi fratelli e sorelle dell’amata Chiesa di Caltagirone,
A. Alziamo il capo e contempliamo che la nostra liberazione è vicina
1. Con il tempo di Avvento, che inizia questa ultima domenica di novembre, si apre per tutta la Chiesa e anche per noi un nuovo anno liturgico. Come sempre siamo invitati a non farne un’abitudine nella nostra vita. Perché altrimenti rischiamo, anno dopo anno, passaggio dopo passaggio, di consumare, o forse sciupare, tutto il tempo che abbiamo a disposizione, e di giungere alla fine della nostra vita senza essercene resi conto. Per noi cristiani il tempo che scorre, ci ricorda che siamo di passaggio, ma ci ricorda, per fortuna, anche altro, e ben altro che questo. Perché soprattutto ci vuole ricordare, e ci vuole aiutare a trovare, ciò che non passa, ciò che nel passare di tutto, resta. E ciò che non passa, come sappiamo, non è’ quanto appartiene a questa terra e a questo mondo, ma quello che in essi appartiene a Dio. Per questo “cielo e terra passeranno, ma le mie parole, dice il Signore, non passeranno mai”. Questa verità di fondo della nostra vita, è la verità che faticosamente dobbiamo cercare e che gelosamente vogliamo conservare. Prezioso deposito che vogliamo accogliere, per sapere affrontare alla luce della fede, quanto ogni giorno la nostra vita ci riserva. In modo da poterla leggere e vivere positivamente, alla luce e con la luce che non viene da noi, dai nostri occhi, ma da quelli che ci restituisce guariti e trasfigurati Dio.
2. E così, ogni volta che noi ascoltiamo la Parola, essa ci mette in contatto con Dio e non soltanto con la terra. Ci mette in contatto con “Chi è lo stesso ieri, oggi e sempre”, e con le cose che non passano mai. E non soltanto con la scena di questo mondo, della quale l’apostolo Paolo, lapidariamente ci ricorda che passa e non ritorna più: “Passa la scena di questo mondo”. E noi inesorabilmente con esso. Abbiamo tutti bisogno, in questo tempo più che mai votato al pessimismo, di ascoltare qualcuno e qualcosa che ci possano dire e dare una parola di fiducia. Questa necessità per tutti urgente, per noi cristiani è ancora di più indispensabile. Ne va della credibilità della nostra fede e della speranza che essa ci offre. Infatti, anche se come tutti, anche noi viviamo il disincanto comune, se però non vogliamo essere pure disincarnati, dobbiamo abitare dentro questo mondo e le sue logiche, con i piedi per terra e con lo spirito desto. Dobbiamo saperne accogliere la sfida che esso ci lancia, e nello stesso tempo, dobbiamo sapere “alzare il capo e contemplare che la nostra liberazione è vicina”. Perché i cristiani dentro la storia, non soltanto vedono i segni dell’oppressione, ma sanno pure scorgere i germi della libertà e della liberazione. Sapendo che l’oppressione viene dagli uomini, mentre la liberazione viene dal loro Signore. Come pure sanno che se l’azione degli uomini è forte, quella di Dio è, però, irresistibile. Ma questo non significa che fa rumore, o che agisca in modo da attirare l’attenzione, in quanto Egli ha scelto la via della debolezza e della resa, per confondere e sconfiggere i forti di questo mondo e il loro orgoglio.
Per questo non è facile per nessuno, e neppure per noi, sapere riconoscere la logica di Dio dentro il corso degli avvenimenti umani. Non è semplice saperlo vedere presente quando ne soffriamo l’assenza; o ascoltarlo, quando per noi tace; scorgere il suo amore, quando non interviene e lascia fare; vederlo Signore e amante della vita, quando ci scontriamo con la morte; Salvatore, e Salvatore potente, quando si manifesta bambino; sapere di stare tra le sue braccia, quando invece ci sentiamo in balia di tutto e di tutti. Così è Dio. E stranamente per noi, egli ci ricorda che abbiamo a che fare con lui, quando siamo in presenza del più piccolo dei nostri fratelli.

B. Appena la voce è giunta, ecco la gioia.
3. Non possiamo continuare ad ascoltare soltanto la nostra voce e quella delle nostre paure. Perché anche quelle, o soprattutto quelle, hanno bisogno di ascoltare il Vangelo. Perché solo il Vangelo, e quindi solo Gesù Cristo, ha il potere di cambiare il deserto e di farlo fiorire. L’icona di santa Elisabetta, mi sembra che illustri fedelmente la nostra condizione e la realtà che ci circonda. Come noi è carica di anni e pure sfiorita, senza figli e senza futuro, al tramonto della vita e sulla soglia della morte, chiusa al mondo e ripiegata su se stessa. Nulla e nessuno che potessero annunciarle un esito diverso di quello inesorabile e scontato per tutti. A tratti, o per buona parte, la nostra esperienza è proprio questa. Quella dei singoli, come quella delle comunità e delle società. Spaventati del futuro, che all’orizzonte non annuncia nulla di buono.
Un po’ come viviamo noi, e come vivono tutti. Rassegnati all’inesorabile che, invece di minacciare gli altri, minaccia direttamente proprio noi. Se è stato sempre così per gli uomini, è, e sarà così, anche per noi. Se è accaduto così ieri, accadrà anche oggi, domani e sempre. Ecco per noi uomini l’unica realtà, che siamo invitati a riconoscere, e l’unica verità alla quale siamo invitati a piegarci. Ma non è così per Dio: quando parla, quando tace, quando nasce e quando muore. Egli è’ il Signore che fa nuove tutte le cose. Che crea cieli e terra nuova, dentro di noi, con la sua Parola. Che ha portato la gioia dentro le viscere di santa Elisabetta, quando anche lei, come Maria, ha creduto all’adempimento della Parola di Dio, nella sua vita e nel suo corpo. Tutto trasalisce di gioia di fronte alla Parola di Dio. Di fronte a Dio che ci parla per darci la sua gioia, e perché questa gioia in noi raggiunga la pienezza. Per noi questa promessa e la sua realizzazione, sembrano un miraggio, perché pensare alla gioia ci appare spesso un’utopia o un sogno. Disposti, come siamo, ad accontentarcene di qualche briciola, facciamo pure fatica a pensare alla pienezza della gioia. Esperienza che difficilmente ci è dato di fare. E se qualche volta ci è capitato di sperimentarla, subito dopo era solo un ricordo.
4. Il tempo di Avvento invece ci ricorda che, ancora una volta, Dio è deciso ad entrare nella nostra storia, e con questo nella vita di ciascuno di noi. Noi ci apprestiamo a vivere un tempo che non viene da noi, ma che è per noi. A vivere il tempo così come Dio vuole che noi lo percepiamo. Carico della sua presenza e della sua vicinanza. Trasbordante della sua venuta, del suo avvento nella vicenda umana. E questo sempre, sia mentre dura ancora questa storia, sia quando essa si chiuderà gloriosa e trasfigurata. E così il tempo per la presenza di Dio in esso, e con la presenza di Dio che tutto trasforma, acquista un’altra fisionomia, acquista un profilo alto e inedito.
5. Per noi il compito sarà quello di tradurlo in pratica, e sostanzialmente in vita, di farlo vissuto e concretezza. Di non lasciare che abbiamo un dono, o secondo la parabola del vangelo di aver ricevuto un talento, che forse neppure per paura, ma per semplice ignavia o indifferenza, non abbiamo trafficato e messo in circolo nella nostra vita. Per noi, tutto non può più essere, non può più rimanere, lo stesso. O la realtà non può più essere come lo è per gli altri. Per noi credenti in Cristo, che è nato per noi, è nato tra noi, ed è nato come noi, cambia molto, cambia tutto. Ed è necessario che si veda, che si avverta, che produca qualcosa di nuovo e di inedito dentro la storia. Il mondo è diverso, perché al suo interno annovera pure Dio. All’appello risponde pure lui. Il mondo può contare su di lui, fattosi presente.
6. Dio ha tanto amato, e continua ad amare questo mondo, da dare e darci il suo Figlio. Da darlo alle nostre mani. Fino a consegnarlo ai sentieri inediti della nostra storia, delle nostre scelte, e soprattutto dei nostri cuori. Con il rischio, che corriamo tutti, che i suoi, cioè noi, non lo accogliamo, preferendo di brancolare nel buio. Perché, a volte senza neppure una spiegazione plausibile, continuiamo a fare a meno di Colui che è “la luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo”. E che quindi vuole e può illuminare anche noi. Che può offrire una differente lettura, e un più luminoso e pregnante significato alla nostra condizione e al nostro tempo. Ciò facendo ci perdiamo di verificare questa verità più grande di noi. Ci priviamo di sperimentare che cosa possa significare concretamente per me e per noi. E invece, sorprendente che ci appare, possiamo contare sulla sua presenza, più che su quella nostra, sulla sua vicinanza, più che sulla nostra intimità, su di lui più che su di noi. Possiamo contare, senza condizioni, sul suo essersi fatto uomo per noi ed in noi. Solo per un inspiegabile atto di amore, che ancora non abbiamo capito, e che mai compiutamente capiremo. Almeno fin quando non sarà tolto il velo ai nostri occhi, per vederci e vederlo, come egli è, e come ci ha fatti. Se a “quanti l’hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio”, questo potere e questa radicale trasformazione della nostra condizione, è assegnata alla sola nostra accoglienza di lui. Nel segno di un bambino, nel mistero profondo di un Dio che si fa uomo. E di conseguenza di un uomo che, senza fatica e senza metterci nulla, può diventare come Dio e dio stesso.
7. Tutto questo concretamente per noi significa prepararci, in tanti differenti modi, alla venuta del Signore. Significa coinvolgere in questa attesa tutto quello che siamo e che viviamo. Senza dimenticare, o lasciare fuori, nessun aspetto della nostra vita, da quelli umani e naturali a quelli più squisitamente di fede, rituali, liturgici e soprannaturali. La commercializzazione di tutto rischia di addomesticare e commercializzare anche la fede, la teologia della storia e della vita. E invece di inondare il mondo della ricchezza di speranza che il Signore in tutto e nonostante tutto ci comunica, rischiamo di riempire di nulla il nostro cuore. Rischiamo di annacquare e vanificare anche la nostra fede nel Signore, che senza nostra fatica e merito, ci viene incontro. Perché il rischio è che sia il mondo e la sua logica a riempire noi.
8. Purtroppo, anche tra noi cristiani, spesso sono gli aspetti commerciali, ugualmente importanti ma marginali, che danno il tono a quella che dovrebbe essere la nostra festa. Rischiamo di preparare così con tante cose, e in tanti modi il Natale, ma senza preoccuparci o verificare, che non manchi proprio lui, il Signore, che di tutto questo dovrebbe essere il centro. Il rischio di un Natale con tutto e con tutti, ma senza Dio, non è poi così tanto remoto. Il pericolo di trovarci di fronte ad una mangiatoia pronta, di un mondo indaffarato, di cristiani, anche essi stressati dai preparativi, ma che a Dio ci pensano per ultimo o dopo tante altre precedenze, lo corriamo seriamente. Rispettare le precedenze, mettere in ordine le urgenze, è un compito al quale non dobbiamo lesinare tempo e attenzione. Altrimenti arriviamo alla fine, come tante altre volte e tanti altri anni abbiamo fatto, dovendo rimediare all’ultimo minuto. Arriviamo con l’acqua alla gola, e a Dio riserviamo gli spiccioli del nostro tempo, dei nostri preparativi e anche del nostro cuore. A chi si è donato tutto a noi, non possiamo dare i residui del nostro tempo, dei nostri interessi, e soprattutto del nostro cuore.

C. Come mai questo tempo non sapete riconoscerlo?
9. Come gestiremo concretamente questo tempo di Avvento? Lo sentiremo e lo vivremo come tempo di Avvento, tempo importante e decisivo? Sapremo regalarlo agli altri come Dio lo regala a noi? Questo tempo è carico di tante belle promesse e soprattutto è carico della promessa di Dio. Nel doppio senso che è la promessa che ci fa Dio, ed insieme la promessa che Dio ci fa, di donarci tutto se stesso nel Figlio fattosi uomo nostro fratello. Dinanzi alla rinnovata attesa di lui che apre dinanzi a noi, e soprattutto alla sua sicura venuta in mezzo a noi, quale reazione avremo? Prepararsi ad aspettarlo, non può significare rimanere fossilizzati nelle nostre paure e nelle nostre paralisi.
10. Ancora una volta egli è venuto ad inaugurare un anno di liberazione e di libertà. Un anno nel quale non ci vuole ancora vedere con le braccia cadute e con le ginocchia vacillanti. Da soli ci possiamo lasciare andare a tutto e anche allo sconforto, e ne possiamo avere tutte le giustificazioni, ma con lui no. Non è più possibile. Con lui dobbiamo cambiare la musica della nostra vita, dei nostri pensieri, della nostra stessa visione della realtà. Noi siamo, o possiamo essere quel popolo che camminava nelle tenebre e che, ad un tratto, vede una grande luce, è destinatario di una grande promessa. Noi quelli che, immersi e sommersi nelle tenebre di qualsiasi tipo, sono stati illuminati dall’alto. E non da una lucciola o piccola lampadina tascabile, ma dal sole, e dal sole che sorge imponente dal cielo. Perché su di noi può, se lo vogliamo, brillare il volto di Dio. Meglio, Dio vuole fare brillare il suo volto e donarci la sua pace. In Cristo Gesù, fattosi uomo per amore e per noi, brilla il volto pieno di amore di Dio. Ed in questa luce, e di fronte a questo volto, può brillare di tanto splendore ogni aspetto della nostra vita e tutta la nostra storia. Il Natale ci racconta che, se non vogliamo che resti incerto il nostro cammino e opaco quel che siamo, ci dobbiamo mettere in ricerca, come hanno fatto i pastori nella notte di Betlemme. Dobbiamo anche noi cercare di quel bambino che è nato per noi.
11. Desidererei, però, che questo tempo di Avvento appena iniziato, e questo Natale al quale ci prepariamo in questo nuovo anno liturgico non facesse astrazione di quel che ognuno di noi vive, e neppure di quello che tutti insieme stiamo attraversando. Lascio alla riflessione personale di trovare quale senso può e deve assolvere il tempo di Avvento nella vita di ciascuno di noi, per essere pronti a ricevere Dio che bussa alla nostra porta. Da questa scelta di libertà, nessuno ci può dispensare, e neppure Dio lo vuole fare. Ciascuno può decidere di rimanere nelle sue tenebre e di rimandare questo appuntamento. Dio non starà a forzare questa posizione. Pazienterà, come solo egli sa fare, dando a tutti tempo e opportunità di rivedere la sua scelta e di riconsiderare la sua decisione.
12. Ma mi chiedo cosa può dire questo Avvento, come preparazione al nostro Natale comunitario, a tutti noi. A noi italiani, a noi siciliani, a noi della nostra Diocesi, che in questo momento stiamo vivendo, come tutti in Italia, un particolare momento di difficoltà e di crisi. Non mi voglio addentrare nel cercare le colpe o le giustificazioni di una situazione che non possiamo più nascondere. Ci abbiamo provato per troppo tempo, e in tutti i modi, a dissimularla e a negarla. Ora, la prima cosa seria da fare è prenderne coscienza, e correre ai ripari. Forse qualcuno si chiederà che cosa c’entri questa crisi politica, economica e sociale con il Natale, con l’Avvento o con noi cristiani. Certo non c’entra nulla, se noi continuiamo a viver la nostra fede in maniera astratta e sganciata dalla vita e dalle problematiche di ogni giorni. O se continuiamo a pensare che possiamo essere buoni credenti, senza essere buoni cittadini. Se pensiamo di delegare sempre a qualcun altro, quello che invece è un nostro impegno e una nostra responsabilità. Perché è sempre un impegno e una responsabilità di tutti, che nel bene e nel male dobbiamo portare avanti tutti insieme.
13. Dalla militanza attiva nei partiti, siamo passati alle scelte e alle posizioni individuali, e poi anche a quella ritirata nell’anonimato politico e istituzionale, che certo non ci fa onore. Non vogliamo neppure pensare che quello che è accaduto e che stiamo vivendo oggi, sia frutto o diretta conseguenza di questa nostra ritirata. Vogliamo soltanto ribadire, con realismo, che non vogliamo sottrarci al compito di dare il nostro contributo alla ricostruzione complessiva del nostro paese, con quello che di più specifico, e per noi di più prezioso possediamo, la nostra fede. Allora l’Avvento e di seguito il Natale, e tutto il mistero di salvezza che celebriamo, certo che possono dare un contributo significativo ad affrontare questo delicato momento di passione collettiva.
14. Vorrei indicare qualcuna delle direzioni, in cui la nostra fede può risultare determinate, o può essere un valore aggiunto, per integrare altre prospettive e per concorrere a trovare e dare soluzione ai problemi che ci angustiano. Partirei dal sottolineare quel passaggio all’ottimismo che in un tempo di pessimismo diffuso e collettivo, non è piccola cosa, non è un contributo di poco conto. Chi si ferma, a partire dalle sue convinzioni profonde, o dal suo credo laico, per utilizzare una formula forse inesatta, ma di immediata comprensione, ad una lettura semplicemente umana e fattuale della storia, non è facile in certe congiunture essere ottimisti. L’ottimismo o il pessimismo il più delle volte non viene dalle cose, ma delle persone. Noi cristiani, siamo, o dovremmo essere, ottimisti ad oltranza, a tutti i costi, in maniera ostinata e incorreggibile. Perché per noi, il bene, il meglio, finirà per accadere, non perché siamo più bravi, o migliori degli altri, ma perché contiamo pure su Dio. Quando abbiamo fatto tutto quello che potevamo e dovevamo fare, sappiamo che anche Dio ci dà una mano. Sapere che dentro la storia Dio è presente, agisce, opera, interviene, salva, non è cosa di poco conto. A crederci, il risultato non può essere lo stesso. Infatti per noi, e per tutti, il Natale non è il semplice racconto che ispira la realizzazione dei nostri presepi, che ci fa impazzire dietro ai regali da fare, che ci raduna per un grande pranzo, e poi ci fa piangere dietro la dieta che dovremmo fare e non riusciamo ad iniziare.
15. Il Natale è la storia nella sua completezza, in cui il mistero dell’uomo è profondamente congiunto a quello di Dio. Allora vivere da credenti questo Avvento, e accogliere il Natale del Figlio di Dio in mezzo a noi, qui ed ora, deve significare offrire anche un contributo di speranza. Dare un apporto di fiducia. Non quale utopia irrealizzabile e fumosa, ma quale approdo a quella grande speranza, che dentro e oltre le nostre piccole speranze, ci aiuta e aiuta tutti, a sperare contro ogni speranza umana. Perché la grande speranza, che solo Dio ci può offrire e garantire, mette in moto energie che altrimenti resterebbero inutilizzate. Su questa lunghezza d’onda della speranza, dobbiamo sintonizzare i nostri pensieri, le nostre parole, le nostre azioni. E questo dono di speranza, prima di pensare ad altro, o a un’altra soluzione, dobbiamo offrire agli uomini nostri fratelli, in questo tempo in cui, tra le cose più difficili da fare, c’è sicuramente quella di essere ottimisti e fiduciosi.
16. Un altro passaggio, che vorrei suggerire per vivere meglio e da cristiani questo Avvento, è quello che ci porta dall’egoismo alla condivisione. Per fare questo passo, si tratta di aggiungere ulteriori motivazioni a quelle già da molti richiamate. Per noi si tratta di mettere in campo la nostra fede, la motivazione più profonda e più impellente, per lasciarci alle spalle l’egoismo sfacciato con cui spesso viviamo, e poter pensare anche agli altri con cuore accogliente e disponibile. Se a noi viene quasi naturale, occuparci e pensare prima o unicamente a noi, e a ciò che è nostro, Dio ci ricorda che Egli, solo per amore, si è spogliato della sua divinità e si è fatto simile a noi, per condividere in tutto la nostra povertà e il nostro bisogno. Al richiamo di non pensare soltanto ai nostri interessi o ai nostri privilegi, che in questi tempi sentiamo fare con più frequenza, motivati quasi unicamente dalla necessità di far quadrare i conti e di superare la crisi, i cristiani ribadiscono lo stesso invito, ma per una differente motivazione.
17. La solidarietà, infatti, per noi non è un valore da richiamare solo in tempi di crisi e di emergenza, quanto un valore inossidabile su cui costruire o ricostruire sempre la società. Anche o soprattutto nei tempi e nelle situazioni di benessere. Noi dobbiamo motivare differentemente le scelte da fare, aggiungere maggiore profondità e autorevolezza ai tanti richiami e proclami, che spesso cadono nel vuoto. Vogliamo, per questo, indicare anche l’orizzonte di fede, dentro cui i problemi si possono meglio risolvere, vogliamo dare l’esempio nel piccolo per poi esportarlo su più larga scala. Il sale della fede mi sembra l’apporto prezioso ed esclusivo, che noi possiamo offrire alla società tutta intera, in questo delicato momento. Si tratta di non mettere in primo piano e al primo posto gli interessi di parte, di partito, di casta, di cartello e di qualsiasi altro tipo di egoismo. Ma di pensare tutti, e tutti insieme, al bene di tutti o a quello più universale possibile. E mentre il bene comune noi lo invochiamo come valore, da fare circolare non solo nel dibattito in atto o nei tanti talk show di moda, il valore della condivisione, della giustizia, della comunione, della sussidiarietà, della carità, noi ci impegniamo a viverlo, almeno ci proviamo, perché sia l’unico criterio delle nostre scelte e del nostro agire. Criterio esclusivo che adottiamo in tutto, nella nostra vita personale, familiare, parrocchiale e sociale, e per tutto quello che dipende da noi.
18. Il terzo suggerimento, sempre in vista di iniziare in questo tempo di Avvento e di Natale uno stile di vita differente, è in riferimento ad un serio sforzo e ad una convinta azione di legalità. E anche qui non semplicemente per quel camuffato interesse, ritorno o vantaggio che, nel rispetto delle regole, tutti ne abbiamo. Non semplicemente perché quando tutti paghiamo le tasse, ne paghiamo ognuno un po’ meno, e ne riceviamo maggiori servizi. Ma ancora una volta per una motivazione più profonda e nobile. Perché l’altro, il rispetto a lui dovuto, il prendersene cura, cercare il suo bene almeno quanto il nostro, se non riusciamo a fare di più, per noi sono sacrosanti. Nascono dall’uguale dignità che condividiamo. Nasce da quella comune condizione creaturale, e dall’essere figli di Dio, che ci rende tutti uguali. Si fonda ancora, cosa di non poco conto per un credente, nell’essere stati tutti creati a immagine e somiglianza di Dio. Di avere così tanto in comune, e di così prezioso, che veramente quello che ci unisce è incommensurabile rispetto a quello che ci distingue. Paolo ci ricorderebbe che abbiamo: un solo Dio, un solo Padre di tutti, una sola fede, un solo battesimo, un solo Salvatore, lo stesso Spirito. E la lista potrebbe continuare ancora a lungo. Sarebbe enormemente riduttivo per un cristiano rispettare la legalità semplicemente per paura della repressione o per non incorrere nelle sanzioni. Per fare questo o per farlo per questa motivazione, non c’è bisogno di essere credenti in Cristo. Il Vangelo liquiderebbe questi comportamenti, ricordandoci che anche i pagani fanno lo stesso. Qual è, invece, il vino nuovo che abbiamo attinto al Vangelo, e che poi richiede di pensare ad otri nuovi per contenerlo? Qual è quel di più, o quel vino migliore, che vogliamo conservare fino alla fine, soprattutto quando gli altri si sono abituati e ubriacati di motivazioni scadenti?
19. Nel rispetto della legalità, noi dobbiamo considerare anche questa differente prospettiva, dobbiamo offrire agli altri anche questo nostro punto di vista, questo ulteriore approfondimento della sua importanza. Ma dobbiamo soprattutto offrire una nitida ed inequivocabile testimonianza che noi agiamo così, e che la legalità rientra in quelle regole che ispirano e guidano sempre le nostre scelte. E se dobbiamo attrezzarci perché questo stile giunga nelle alte sfere, nella stanza dei bottoni, dove si decidono le sorti del popolo, dobbiamo nel frattempo, partire dal basso e da quello che dipende unicamente da noi. E per essere estremamente pratici, inizia del dare e richiedere uno scontrino fiscale, dal mettere in regola un lavoratore, dal dargli la giusta paga, dal pagare le tasse senza molte furbizie e decurtazioni ingiuste, dal piccolo sacrificio per fare la raccolta differenziata…
Ma a livelli un po’ più alti, ci fa dovere richiamare che per fare questo è necessario impegnarsi per la giustizia sociale. Sono, infatti, urgenti scelte politiche eque, sostegni mirati, investimenti oculati, e tutti quegli interventi che permettano poi di vivere la legalità come un valore. Quella politica che, riconoscendo ai lavoratori il valore anche economico del loro lavoro, li mette in condizioni di poter pagare le tasse. Penso all’assurda condizione di tanti operai, impegnati nei più diversi campi di attività, che sarebbero felici di pagare le tasse se ricevessero un giusto compenso per il loro lavoro. Penso ai tanti nostri agricoltori che con la coltivazione del grano, delle arance, dell’uva, degli ulivi, degli ortaggi, dei fiori, ecc. ecc., non solo non sono in condizione di pagare le tasse, ma neppure di vivere e sopravvivere. A loro va la nostra gratitudine e riconoscenza per quanto continuano a fare, va la nostra più cordiale solidarietà. E se forse concretamente riusciamo a fare ben poco, vogliamo assicurare loro tutta la nostra vicinanza e vogliamo impegnarci a fare tutto il possibile, per cambiare le regole di questa assurda situazione. Ma se al contrario, in questo momento, qualcuno più fortunato può fare qualcosa, anche un piccolo investimento, può assumere un lavoratore, può spendere qualcosa, può fare una ristrutturazione, può comprare, può movimentare in qualche modo l’economia, non ci pensi più di tanto. Anche questo, anche il più piccolo gesto, può essere una testimonianza concreta di giustizia, di carità, di speranza, di spiritualità. E ci auguriamo che per farlo, per vincere le paure, per decidersi a rischiare, anche la sua fede possa giocare un ruolo determinante.
20. Un ultimo richiamo vorrei farlo in riferimento al passaggio verso la sobrietà. Penso al passaggio tra stili di vita tanto opposti. Penso alla scelta della sobrietà, per abbandonare decisamente il consumismo, il superfluo, l’eccessivo, l’ostentazione, l’inutile. Auspico quella inversione di tendenza che tiene di mira ciò che è essenziale. Che ci invita ad utilizzare, nelle cose che facciamo o scegliamo, non il massimo possibile e tutto quello di cui disponiamo, ma soltanto quello che è necessario, opportuno, e non sa di spreco, di ostentazione, di immagine. Ancora una volta tutto questo, in prima istanza, ce lo impone il momento particolarmente critico che viviamo. Ce lo richiede la congiuntura veramente difficile che dobbiamo risolvere. Ma accanto a queste motivazioni, che già da sole dovrebbero bastare a motivarci nelle scelte e nei comportamenti improntati alla essenzialità, dobbiamo mettere in campo motivazioni ancora più purificate e più evangeliche. Dettate dall’invito a spezzare il pane con l’affamato, ad accogliere il forestiero, a vestire chi è nudo, e questo non soltanto nei confronti di chi è vicino a noi, ma anche di chi è, e resta tanto lontano da noi e dalle nostre possibilità.
21. A rifletterci bene, le occasioni per risolvere, con uno stile di vita personale e comunitario semplice, gli imprevisti della carità, di quanti bussano alle nostre porte, sbarcano sul nostro territorio, o cercano pace nei nostri confini, non ci mancano. A volte invece ci manca il criterio giusto e l’accoglienza per fare fronte a tutto questo. E per lo più ci mancano, perché ci sentiamo minacciati nel nostro benessere o interrogati sul nostro stile di vita, secondo quella logica che non ci deve mancare nulla, neppure il superfluo. Si tratta, invece, di mettere in dubbio la bontà e i fondamenti di questi ragionamenti, di queste scelte, e di quanto ne consegue.
Ed in questa analisi dovremmo spingerci anche un po’ più in avanti, per purificare in noi e negli altri, le motivazioni vere per cui facciamo il bene e anche l’accoglienza. Il dubbio che dietro i nostri programmi, centri, organismi e organizzazioni di accoglienza, si celino interessi ancora più grandi o ancora più sofisticati, a volte resta e non senza fondamento. Certo che, pure come comunità diocesana, dobbiamo continuare ad interrogarci su che cosa accade nel centro di accoglienza di Mineo. Se e come possiamo intervenire. Dove possiamo offrire il nostro contributo, sempre nel rispetto delle diverse istituzioni coinvolte. Ma sicuramente c’è qualcosa che possiamo fare solo noi, perché credenti, o nella misura che ci lasciamo istruire dalla nostra fede. Penso a quel tocco di umanità in più, a quel rispetto incondizionato, a quel non lasciarsi disorientare dalle apparenze quando si tratta dell’uomo. Penso a quel non potere più fare affidamento sulla distinzione, a volte determinate, nella nostra mente, nelle nostre scelte e nelle nostre valutazioni, tra loro e noi. Mentalità che significa: neri e bianchi, mussulmani e cristiani, uomini e donne, poveri e ricchi, extracomunitari ed europei, e così di seguito secondo una lista interminabile.
22. Certamente con questi quattro passaggi che ho indicato, non penso di avere descritto o esaurito tutto quel contenuto di conversione, a cui ci invita questo tempo nuovo di Avvento che abbiamo iniziato. E neppure tutta la radicalità che il Natale del Signore, veramente accolto nella nostra mente, nel nostro cuore e in tutta la nostra vita, ci può donare. Ho voluto indicare questi temi di riflessione, soltanto a titolo esemplificativo. E, inoltre, anche per incoraggiare una sensibilità altra, e un differente stile di vita. Quelli in cui la nostra vita spirituale, il nostro impegno di fede, la nostra testimonianza credente, i misteri di salvezza che di volta in volta celebriamo, e che di tempo in tempo ritornano nel nostro calendario, non siano separati, non siano un’altra cosa rispetto a tutta la nostra vita. Che cioè, i contenuti della fede di cui facciamo memoriale, possano avere una ricaduta e una forte incidenza sulla vita concreta: civile, sociale, economica, culturale. O che noi ci sforziamo di essere buoni cristiani, dandoci cura di essere altrettanto buoni cittadini. Perché non continuiamo a considerare la furbizia, con cui ci adoperiamo di aggirare le leggi giuste dello stato, come benedetta, o non avente nessuna rilevanza sul piano etico e morale. Da questa mentalità, che mai ha trovato giustificazioni, né teoriche né pratiche, nella morale cristiana, dobbiamo allontanarci come da una tremenda tentazione. Mentre, al contrario, dobbiamo coltivare una sensibilità più spiccata, proprio su questa dimensione sociale e pratica del nostro essere e comportarci da cristiani.
23. Per questo, i passaggi che ho suggerito sono solo delle piste, che hanno bisogno di essere sviluppate, dibattute, fatte proprie. Vogliono soltanto essere l’inizio di un lavoro da approfondire e sviluppare. Confido, per questo, nella riflessione personale e anche comunitaria. Perché questo tempo di Avvento, tempo forte e pregnante di salvezza, per la vicinanza e l’avvicinarsi sempre più deciso del Signore, possa essere caratterizzato, nella nostra Chiesa, da una seria riflessione e da una opportuna programmazione, che vada ben oltre un generico impegno che, alla fine, lascia noi e le cose come prima. Ma non ci può essere cambiamento se non lo richiediamo a noi stessi. Ognuno sa, o deve riflettere, chiedere e pregare, su come cambiare se stesso e il suo stile di vita, perché quello che vive risponda e corrisponda, sempre più da vicino al Vangelo e alla sua incontenibile forza di liberazione e di salvezza.
24. Fratelli, il nuovo anno liturgico, e questo straordinario tempo di Avvento che lo apre, è un’occasione da non sciupare. Dobbiamo prepararci all’incontro con Dio, con tutto quello che siamo, e con questo tempo e questo spazio che il Signore ci concede. Ma mentre noi camminiamo verso di Lui, è Egli stesso che viene incontro a noi in ogni tempo e in ogni modo. Quindi anche incontro a noi e al nostro tempo. Per questo, in modo del tutto docile, ci vogliamo lasciare guidare dalla sua Parola che, giorno dopo giorno, ci indicherà le sue vie. Auguro a voi e a me che, per sua grazia, possiamo ritornare e camminare sui suoi sentieri e possiamo compiere in tutto la sua volontà. Perché sobri e vigilanti, possiamo attendere e accogliere, con gioia, la sua venuta.
Buon Avvento e buon Natale a tutti!

Caltagirone, 27 novembre 2011
I domenica d’Avvento

 + Calogero Peri