Mi è stato chiesto di tracciare un breve profilo di don Gianni Zavattieri, padre Gianni per tutti. Spero di essere riuscito a trovare le parole che lui avrebbe voluto fossero dette.
«Fides quaerit, intellectus invenit» (De Trinitate, 15, 2.2). La fede cerca, l’intelletto trova. Così Sant’Agostino. Gli fa eco Sant’Anselmo d’Aosta: «Fides quaerens intellectum». La fede cerca l’intelletto. In queste celeberrime espressioni sta la cifra ideale del percorso ecclesiale, culturale e umano, di padre Gianni Zavattieri, il fil rouge che lega assieme le molteplici attività che lo hanno visto protagonista della vita diocesana e non solo.
La traduzione italiana non rende appieno la pregnanza del testo originale latino: quaero, infatti, significa cercare, ma anche domandare, inquietare, interrogare. E intellectus vuol dire intelletto, ma nel senso profondo di intus legere, saper leggere dentro.
È il ribaltamento della concezione che solitamente si ha della fede come il formulario delle risposte facili, pronte all’uso, la panacea che risolve tutti i mali.
La fede non dà risposte, pone invece domande; interroga la ragione. È la ragione che deve trovare le risposte, sempre provvisorie e limitate, certo. E a quel punto la fede la interroga nuovamente, alzando però l’asticella, provocandola ad andare oltre, perché non si appiattisca sull’hinc et nunc, sul qui e ora, rinunciando a cercare l’Infinito.
Tutto il ministero sacerdotale di padre Gianni è stato segnato dall’ansia pastorale di far uscire la Chiesa dalle sagrestie, cogliendo le sfide della modernità, senza arroccarsi su posizioni di retroguardia. Il Vangelo e il giornale, che non mancava mai di comprare la mattina. Perché era convinto, con Sant’Agostino, che «fides, si non cogitetur, nulla est», che la fede, se non è pensata, non è niente e che la capacità di pensare la fede «ex Deo est», è il regalo straordinario che ci viene da Dio (De predestinatione sanctorum, II, 5). Non sono dunque le scorciatoie del fideismo a buon mercato a farci incontrare la Verità.
Appaiono scritte per lui le parole dell’antifona della messa di venerdì 21 febbraio, memoria di San Pier Damiani, giorno in cui ha reso lo spirito a Dio: «In mezzo alla Chiesa gli ha aperto la bocca, il Signore lo ha colmato dello spirito di sapienza e d’intelligenza; gli ha fatto indossare una veste di gloria» (cfr. Sir 15, 5).
Aveva le idee chiare padre Gianni, sin dalla scelta di non restare confinato in un percorso universitario solo teologico, laureandosi anche in Lettere all’Università Cattolica di Milano, con una tesi sul neo-sintetismo di mons. Mario Sturzo, il vescovo di Piazza Armerina, che era persuaso che la teologia potesse rinnovarsi, a patto che interrogasse e si lasciasse interrogare dalla filosofia contemporanea, crociana in particolare. Una scommessa pionieristica, che non fu capita, e il vescovo Sturzo fu costretto al silenzio. Ma in fondo Mario Sturzo era nel solco di una tradizione millenaria, che aveva visto i Padri della Chiesa e la Scolastica misurarsi con Platone e Aristotele.
Fedele all’insegnamento di Mario Sturzo, padre Gianni, ha avuto il coraggio di scommettersi sulle vie della nuova evangelizzazione, usando gli strumenti della comunicazione sociale, con il giornale “Vita”, che si riallacciava alla testata di mons. Nicotra, e che è stato un tentativo di uscire fuori dalle strettoie del bollettino parrocchiale, o cercando, con la fondazione della “Zeno Saltini”, di incarnare la pastorale degli ultimi in forme più adeguate ai tempi, nel solco del cattolicesimo sociale, che proprio a Caltagirone ha avuto in don Luigi Sturzo un esempio illustre.
È stato una guida e un maestro per chi ha avuto la fortuna di incontrarlo: ci ha insegnato a non aver paura del dialogo e a saper riconoscere i semina Verbi, i semi della Parola, nella pluralità delle sensibilità e delle culture: come docente di Religione negli istituti superiori, a Milano, prima, e poi a Caltagirone; Direttore dell’Ufficio catechistico, dell’Ufficio Scuola, e dell’Istituto di Scienze religiose “Innocenzo Marcinò”, palestra in cui si sono formate schiere di futuri docenti, catechisti, operatori pastorali. Con un percorso di studi serio e rigoroso, perché una fede adulta non fa sconti. Assistente ecclesiastico del Convegno Maria Cristina di Savoia e Assistente unitario dell’Azione cattolica diocesana, ha sempre spronato i laici a non smarrire il senso della propria laicità, un patrimonio prezioso per tutta la comunità ecclesiale.
Certo non sempre il suo è stato un percorso senza ostacoli o incomprensioni, soprattutto da parte di chi avrebbe preferito un approccio pastorale più “tradizionale”. Lui lo aveva messo in conto. È il rischio di chi percorre strade inedite.
Negli ultimi anni, a volte, lo coglieva la malinconia, nel vedere il rigurgito del tradizionalismo preconciliare, ma non ha mai perso la speranza che il futuro fosse della Chiesa della Maddalena, che si volta avanti, verso il Risorto, e non della Chiesa della moglie di Lot, che si volta indietro, nostalgica di ritualismi, pizzi e merletti del tempo che fu.
Un’amica mi ha detto in questi giorni: “se ne è andato un altro pezzo della nostra storia”. “Spero invece che non vada via e che resti”, le ho risposto. “E che la sua voce libera, il suo esempio e insegnamento, non si perdano e continuino a provocarci ancora”.
Grazie, padre Gianni. Ora che la tua intelligenza è davanti alla Domanda Prima e Ultima, all’Alfa e all’Omega di Tutto, all’«Amor che move il sole e l’altre stelle» (Dante, Paradiso, XXXIII, v. 145), veglia su di noi, su questa tua amata Chiesa Calatina, perché non cessi mai di farsi inquietare dalla Fede. Amen.
Giacomo Belvedere
