Ci sono circostanze – come questa – nelle quali diventa oltremodo difficile superare il condizionamento e il limite dell’emotività affettiva.
Amicitiæ causa! È la ragione per la quale prendo la parola in questa triste circostanza del saluto esequiale al carissimo don Giacomo Montes, sia pure nell’orizzonte della speranza cristiana, che apre all’eternità.
Non intendo tracciare un profilo curriculare di don Giacomo Montes, che peraltro è a tutti ben noto. Basti sottolineare la sua propensione per l’ambito giuridico, che ha proficuamente contrassegnato il periodo degli studi, fino al dottorato in Diritto canonico, conseguito alla Pontificia Università della Santa Croce, in Roma, con una brillante dissertazione sui matrimoni misti, e che, come giudice, ha messo fruttuosamente e con competenza a servizio del Tribunale Ecclesiastico Diocesano, Regionale, e poi Interdiocesano. Unitamente a questa impegnativa e professionale attività, ha vissuto appassionatamente la sua missione sacerdotale sul versante più direttamente pastorale, prima in questa Cattedrale e poi come parroco di San Benedetto in Militello e successivamente, fino ad oggi, di San Giovanni Battista in Granieri.
Desidero, piuttosto, aprire un breve spazio di condivisione a un guazzabuglio di ricordi, che si affollano e si rincorrono in questo momento di commiato.
Ricordare, “re-cordare”, legarsi al cuore. L’amicizia è affare di cuore, e nel cuore coltiviamo le memorie più care.
Il primo ricordo che mi affiora, mi riporta indietro nel tempo di circa 40 anni e porta la data del 4 luglio 1985. In quel giorno lontano le nostre persone e le nostre vite si incrociarono per la prima volta. «Erano circa le quattro del pomeriggio», come annota il Vangelo di Giovanni con riferimento alla chiamata dei primi discepoli, e ci trovammo all’ex seminario estivo, per un appuntamento comune, ovviamente gestito individualmente, col vescovo mons. Vittorio Mondello, per manifestare il desiderio di intraprendere il cammino discepolare verso il sacerdozio ministeriale. Scambiammo timidamente poche parole, sufficienti però a condividere le apprensioni e l’iniziale impaccio di chi si appresta a fare una scelta di vita indubbiamente impegnativa. Avevamo provenienze assai diverse in ordine ai rispettivi vissuti ecclesiali, ma condividevamo la consapevolezza che sarebbe stato l’inizio di un cammino e di un’avventura comune. La Provvidenza stabilì per noi itinerari diversi, che poi ci portarono a ritrovarci a Roma nel tempo degli studi specialistici.
Rientrati in diocesi, abbiamo nuovamente e costantemente condiviso un’amicizia di fraternità, che ha trovato riscontro in comuni frequentazioni di amici e anche in confronti intellettuali e teologici, a volte persino molto accesi, al punto da rasentare lo scontro, chiaramente “pacifico” e sempre costruttivo.
Amicitiæ causa! È quanto abbiamo sperimentato, a vario titolo, nell’incontro con don Giacomo e la ragione che ha portato oggi qui tutti noi, così numerosi, a fare corona al suo ingresso nell’eternità.
Don Giacomo era una persona gioviale, allegra. La sua indole era quella di un uomo caratterialmente mite, persino nel timbro e nel tono della sua voce, che talvolta malcelava qualche impaccio. Tuttavia era assai determinato nelle sue convinzioni, profondamente fondate su una solida struttura motivazionale. Il tratto relazionale era fondamentalmente amabile, anche quando si arroccava su posizioni che apparivano frutto di apparente cocciutaggine.
Relativamente alla vita pastorale, tanti di noi e molti altri possono dare testimonianza della sua appassionata dedizione alla causa del Vangelo e della sua capacità di improntare la vita ecclesiale a uno stile di comunione e di gioiosa condivisione. Le comunità parrocchiali che ha servito lo hanno apprezzato soprattutto per aver incarnato con questo stile il ministero di parroco.
Analoghi riscontri riecheggiano in riferimento anche agli altri ambienti istituzionali in cui don Giacomo ha profuso la sua attività.
L’eredità che ci lascia è preziosa e, come direbbe sant’Agostino, deve rappresentare una consegna per ciascuno di noi che, a vario titolo, lo abbiamo conosciuto e ne abbiamo sperimentato l’amicizia: «Coloro che amiamo e che abbiamo perduto non sono più dove erano ma sono ovunque noi siamo». E non solo nel ricordo interiore, ma anche nei gesti della vita concreta che riusciamo a replicare.
Carissimo Giacomo, hai aperto l’anno giubilare su questa terra e hai attraversato la porta santa del cielo, per quel grande giubileo che ti dona di adempiere per l’eternità al ministero della lode, al quale vogliamo associare quello dell’intercessione: ti chiediamo, amicitiæ causa, di sostenere e accompagnare il cammino di quanti hanno avuto la gioia di accoglierti e apprezzarti, dei tuoi cari familiari, di questa chiesa diocesana che hai amato e servito, dei vescovi che hanno segnato il tuo percorso di vita sacerdotale, Vittorio Mondello che assicura la sua preghiera, Michele Pennisi che ti ha accolto in seminario, Vincenzo Manzella che ti ha ordinato presbitero e che si unisce alla nostra assemblea liturgica, Calogero Peri che ha apprezzato e valorizzato le tue doti, dei presbiteri tuoi compagni di viaggio che ti hanno voluto bene, di quanti si sono presi amorevolmente cura di te in quest’ultimo dolorosissimo tratto della tua vita terrena, che con il crogiolo della sofferenza ti ha preparato all’incontro pasquale con Colui nel quale hai creduto e sperato, che ha sconfitto le tenebre del male e ha vinto la morte, il Risorto che vive e regna per i secoli eterni. Amen.
Don Antonio Parisi
