Messaggio per la Quaresima (2011)

MESSAGGIO DI S.E. MONS. CALOGERO PERI
ALLA CHIESA DI DIO CHE È IN CALTAGIRONE
PER LA QUARESIMA 2011

“Ancora quaranta giorni”

Carissimi,
siamo ancora una volta alle prese con la Quaresima. A tu per tu con un tempo forte, così come noi lo indichiamo, dell’anno liturgico. Molti e ripetuti saranno i messaggi di conversione che ci giungeranno. Ci riguarderanno come singoli, come comunità cristiana locale, diocesana ed universale. Per quel che mi ricordo, non è la prima volta nella mia vita. E neppure la prima volta per la mia vita. Sono tante le Quaresime che ciascuno può contare. Tante le Quaresime che sono passate o che abbiamo vissuto. Ma è accaduto, veramente qualcosa? È cambiato qualcosa? O più semplicemente: sono cambiato in qualcosa? O se vogliamo interrogarci più profondamente e sinceramente: io sono cambiato? E se non ci sono riuscito, posso riconoscere che almeno ci ho provato?
Mentre lascio a ciascuno di fare personalmente un sommario bilancio, voglio provare a ricordare che cosa accadrà o potrà accadere anche quest’anno. Dio, come sempre, e come sempre inspiegabilmente, ce la metterà tutta per darmi una mano, generosamente e a fondo perduto, per tutti, per te e per me. Vogliamo provare a riconsiderare quale stupefacente opportunità ci sta concedendo ancora una volta. Ci darà un’altra occasione straordinaria, perché la nostra conversione non resti un vuoto proclama, che magari risuona nelle chiese e nelle liturgie, ma non scalfisce minimamente la nostra vita ed il suo assetto.
Ancora una volta, all’inizio della Quaresima, ascolteremo la sconvolgente storia di Giona mandato da Dio, dopo non poche resistenze e fughe, a predicare la conversione, alla megalopoli di Ninive. Traumatico, e non certo addomesticabile, il suo incipit, il suo attacco: “Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta”. Non una questione tra le altre, sulla quale temporeggiare, intavolare un dibattito, contrattare per qualche eventuale sconto. Soltanto una questione di vita o di morte. Però una condanna o una soluzione a scadenza.
Ancora quaranta giorni! Vorrei intrattenermi con voi su questo e provare a declinare in qualche modo questo messaggio qui ed ora. Per cercare di capire sia cosa dice alla nostra vita, sia cosa dice a questo nostro tempo. La nostra vita e il nostro tempo, che a noi appaiono più complicati e pericolosi che mai. Quale tempo, infatti, potrebbe essere più insidioso e sorprendente di quello che ci accingiamo a vivere, che dobbiamo affrontare. Mentre di quello passato sappiamo praticamente tutto, e soprattutto come è andato a finire, di quello presente, del nostro, sappiamo poco e soprattutto non sappiamo come andrà a finire. Non sappiamo nulla. Da qui l’urgenza di pensarci un poco, di pensarci prima, di pensarci “con”. Proviamo a pensarlo con Dio, a pensarlo a partire dalla sua Parola e dunque da una prospettiva del tutto inedita.

1. Ancora quaranta giorni. Come valorizzare il tempo.
Il primo senso che mi viene in mente, è che abbiamo ancora un po’ di tempo. Qualunque sia la nostra situazione, un po’ di tempo c’è. Non tantissimo, ma neppure pochissimo. Ognuno può rimettersi in piedi. Se poi ci aggiungiamo che quaranta giorni, oltre a indicare un certo numero di giorni, indica anche altro, perché indica un tempo che ha pure un valore simbolico. Questa ulteriore apertura ci offre un’altra soluzione. Sappiamo che utilizzando questi quaranta giorni, gli abitanti di Ninive si sono convertiti, Mosè ricevette le tavole della Legge, Elia si mise in cammino e raggiunse il monte di Dio l’Oreb, Gesù vinse la tentazione, e dopo la sua risurrezione raggiunse anche il cielo. Insomma, di cose importanti in quaranta giorni se ne possono fare e se ne sono fatte tante. E questo ci dà speranza, perché significa che anche noi in quaranta giorni qualcosa di importante lo possiamo fare. Cosa c’è, infatti, di più importante o di più urgente, che convertirsi e credere alla buona notizia e alla vita buona del Vangelo?

2. Ancora quaranta giorni. Come cambiare l’esito della nostra vita.
Giona si mise ad attraversare la grande città di Ninive e predicava che gli abitanti di quella città avevano soltanto, o ancora, quaranta giorni e Ninive, insieme a tutti i suoi abitanti, sarebbe stata distrutta. Ma questa tragica sorte, questo triste futuro può essere cambiato, può essere ribaltato in un cammino a lieto fine. E per farlo basta convertirsi, cambiare sinceramente vita e soprattutto cambiare il cuore. Impegnarsi in questa sfida, da ora, riguarda ciascuno di noi.

3. Ancora quaranta giorni. Come accorgersi che c’è un tempo propizio.
Non tutto il tempo e non tutti i tempi sono uguali. Perché il tempo non va vissuto soltanto a partire dalla sua durata, ma anche dalla sua qualità. I quaranta giorni della Quaresima sono un tempo straordinario, un tempo mai visto. Sono un’offerta senza precedenti che Dio regala a ciascuno di noi. Sono giorni di salvezza a buon mercato, anzi a titolo completamente gratuito o a fondo perduto. Perché Dio è disposto a donarci, senza nulla in cambio, più di quanto noi siamo disposti a chiedere o a ricevere. Nel nostro immaginario potremmo accostarli ai giorni degli sconti, dei prezzi stracciati o delle promozioni. Infatti, più che un tempo di saldi, è un tempo in cui Dio si dona, si regala senza condizioni. Un tempo di assoluta gratuità, letteralmente un tempo di grazia.

4. Ancora quaranta giorni. La possibilità di un nuovo tentativo.
I quaranta giorni di Quaresima che abbiamo a disposizione sono un pacchetto di tempo ancora non sciupato, non svenduto e non banalizzato, non riempito di cose inutili o di scelte sbagliate. È un tempo integro. E ancora di più bello, opportuno, favorevole. È un tempo propizio per fare quello che Dio ci chiede. E perché ce lo chiede Lui è tutto a nostro vantaggio. A vantaggio della nostra serenità, della nostra pace e soprattutto della nostra gioia e realizzazione.

5. Ancora quaranta giorni. La distanza da una meta.
I quaranta giorni della Quaresima indicano il cammino verso una meta. Anzi verso la meta che è la Pasqua. Meta di ognuno e di tutti. Meta verso la quale tutto e tutti siamo misteriosamente orientati, e che sempre più coscientemente e convintamente dobbiamo perseguire e desiderare. Attraverso l’austero rito delle ceneri ci viene ricordato dove siamo e dove dovremmo arrivare. Siamo in terra d’esilio e dobbiamo raggiungere la patria, siamo schiavi in Egitto e davanti c’è la libertà della terra promessa, siamo invischiati nei compromessi col peccato e dobbiamo arrivare a lasciarcelo dietro le spalle. La Quaresima ci ricorda la massima distanza dalla Pasqua, la massima distanza dal vivere e comportarci da risorti. Perché quella distanza, per motivi diversi, è dentro ciascuno di noi. È una distanza incolmabile che ciascuno di noi soffre e sopporta con tanta rassegnazione, e che invece Dio vuole sconfiggere. Perché Egli ci vuole regalare quella condizione che, se per nostra colpa abbiamo perduto, per suo dono possiamo ancora riavere. È quel ritorno alla casa del Padre che ogni figlio, che non può che essere prodigo, perché senza farsi bene i calcoli se ne è andato da casa, o perché indispettito non vuole entrare, deve decidersi a compiere.

6. Ancora quaranta giorni. L’opportunità di un dono.
Per noi la conclusione di questi quaranta giorni è chiara. Dopo un percorso magari tortuoso, dopo il buio nel quale a volte dobbiamo vivere, dopo il dolore dal quale vorremmo scrollarci, dopo l’appuntamento con la malattia dalla quale vorremmo essere preservati, o che vorremmo ritardare quanto è più possibile, dopo la certezza della morte che non accettiamo che possa riguardare proprio noi, insomma dopo un po’ di cose che vorremmo che non ci fossero nella nostra vita e che invece, prima o poi si presentano, noi sappiamo che ci aspetta la Pasqua. Noi conosciamo già bene il venerdì santo, ma non dobbiamo dimenticare che fa un tutt’uno con il mattino di Pasqua. Perché dopo il nostro giorno, il venerdì santo, c’è pure il giorno che ha fatto il Signore, che è una meraviglia ai nostri occhi. E sappiamo che la Pasqua non è mai meritata, ma sempre donata a ciascuno di noi. Infatti, anche quest’anno sarà Pasqua per l’impegno di Dio nella nostra vita e non tanto per il nostro. Sarà lui a trascinarci e a trascinare in questo vortice di vita le nostre spirali di morte. Sarà sempre Lui a trionfare di tutti gli ostacoli o le precauzioni che continueremo a mettere alla sepoltura della speranza e al sepolcro del nostro cuore. Questo ci è di conforto, perché Dio non mancherà di fare la sua parte, quella principale, quella più importante, non mancherà di rendere possibile quello che per noi non lo è stato e non lo è. Dopo quaranta giorni, comunque e nonostante tutto, sarà Pasqua. La mensa del Signore sarà pronta. Ci auguriamo che lo sia anche per noi e che ci saremo anche noi.

7. Ancora quaranta giorni. L’opportunità di una verifica sincera e di una programmazione seria.
Come sempre per ripartire bisogna fare il punto della situazione. Sapere dove siamo e dove dobbiamo andare, quando e come possiamo arrivarci. Ancora una volta, passo dopo passo, siamo invitati a fare qualcosa, a considerare se e fino a che punto abbiamo preso seriamente la nostra vita. La quaresima, tra le tante opportunità che Dio continuamente ci distribuisce, è quella più forte, più accattivante, ma anche quella più vantaggiosa per noi. Dovremmo tentare di metterci in gioco tutti, personalmente e comunitariamente. Ma per farlo dobbiamo provarci con sincerità di cuore, in un coinvolgimento radicale, che non si limiti alle tante e lodevoli pratiche di pietà, che un po’ dappertutto scandiscono queste settimane, ma che a giudicare dai frutti, almeno quelli duraturi, poco cambiano l’assetto della nostra vita e quella delle nostre comunità. Poco cambiano la nostra mentalità, le impostazioni e gli atteggiamenti fondamentali che ci guidano. Dio non ha paura se ci scopriamo e ci confessiamo peccatori. È più pericolosa la convinzione di sentirci a posto, di essere arrivati, di non essere come gli altri, di avere un glorioso passato di praticanti, perché andiamo a messa la domenica e qualche volta ci confessiamo pure. Dobbiamo verificare se l’espressione della nostra vita di fede ha un’anima. Se essa veramente incide sulle nostre scelte e sul nostro stile di vita. Se siamo sale della terra e luce del mondo o se non serviamo a nulla. Perché senza una verifica seria e serena, rischiamo di essere una presenza appannata o un opaco diaframma tra il mondo e Dio.

8. Ancora quaranta giorni per il nostro presbiterio. Per una prova generale.
Quaranta giorni di quaresima per il nostro presbiterio, potrebbe essere un tempo straordinario che ci vede impegnati tutti e tutti contemporaneamente, a diventare modelli di conversione del popolo che il Signore ci affida di curare. Occasione per una revisione generale di chi sono personalmente e di chi siamo tutti insieme. Verifica della percezione che ciascuno di noi ha di se stesso e di tutti gli altri. Ma anche momento per ascoltare cosa il popolo pensa e dice di noi. Per rispondere alle giuste domande che ci vengono rivolte, o per rispondere sempre e comunque con carità anche a quelle che non possiamo accogliere. Occasione per togliere il disagio che ci può essere in qualche relazione, per ricuperare la posizione dalla quale ci siamo allontanati facendo dei passi indietro. Per offrire al presbiterio la ricchezza e il contributo attivo della nostra presenza. Revisione attraverso la quale ciascuno può richiedere un di più e anche di meglio a se stesso, prima di chiederlo agli altri. Per purificare la memoria e svuotare anche il cuore, se e quando ce ne fosse bisogno. Occasione per ritornare a guardare con gli occhi della fraternità e dell’amicizia tutti i confratelli presbiteri. E così con il cuore libero, arrivare tutti insieme a celebrare la Pasqua del Signore e anche la nostra.

9. Ancora quaranta giorni per le nostre comunità parrocchiali. Per un salto di qualità.
Questi quaranta giorni di quaresima sono pure un’occasione da non perdere nel cammino di costruzione dell’identità di una comunità parrocchiale. È un tempo che ci richiama la misura alta della nostra vocazione di credenti in Cristo Gesù, morto e risorto per ciascuno di noi. Per fare di noi, un popolo, una comunità, una chiesa, convocata da Dio e riunita insieme nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. La parrocchia deve essere fermento di vita autentica, di relazioni redente, gara per stare all’ultimo posto, per offrire il proprio servizio quando e se ce lo chiedono. Mettendo finalmente da parte le invidie mal celate, le gelosie che non ci permettono di gioire dei doni dei nostri fratelli, o quella voglia di primeggiare, di essere al centro dell’attenzione, di ritenerci indispensabili, più bravi degli altri, capaci di fare tutto. Quanto potremmo essere contenti se ad un esame attento ci trovassimo del tutto estranei da questa logica e lontani da questi comportamenti. Ma se così non fosse, ci vengono donati ancora quaranta giorni, per lasciarceli definitivamente alle spalle e potere celebrare nella letizia con tutta la comunità la Pasqua del Signore.

10. Ancora quaranta giorni per la nostra Diocesi. Perché sia una grande famiglia.
Anche la realtà diocesana non deve rimanere estranea a questo corale processo di conversione, affinché la sua presenza non sia avvertita e vissuta come una realtà vaga. La Diocesi è, in un senso profondo, la concretizzazione base della nostra relazione sul piano della vita di fede. In quanto la Chiesa diocesana è l’incarnazione della Chiesa santa di Dio nello spazio e nel tempo che ci viene concesso di vivere. Sentire che siamo un tutto, che siamo un corpo, che siamo membra gli uni degli altri, e insieme membra dell’unico corpo di Cristo, non può rimanere una nozione astratta che non incide in nulla nel nostro sentire e nel nostro agire. Il cammino di conversione profonda che la Quaresima ci prospetta, è per eccellenza un percorso di revisione delle nostre relazioni con le persone che i Signore ci mette accanto. Quando la vita di fede diventa e si vive come questione privata, che non si apre agli altri e nella quale gli altri non possono entrare, rischia di diventare fanatismo egoistico e pericoloso. Penso che la nostra Diocesi abbia bisogno di riscoprire e di vivere profondamente questo senso di appartenenza ad una realtà più ampia di quella che è la vita di fede personale, di gruppo, di movimento o di parrocchia. E la Quaresima mi sembra che sia l’opportunità di questa apertura che non dobbiamo trascurare e sciupare.

11. Ancora quaranta giorni nelle nostre città e nella nostra Italia. Per la cittadinanza attiva.
Oggi, forse perché per un po’ di tempo ce ne siamo disinteressati, si fa più urgente e significativa la dimensione anche politica del nostro essere ed agire da cristiani. Lo so che purtroppo anche lo stesso termine di politica è diventato negativo nella percezione della gente comune. Perché a politica non si associa più la passione sincera e responsabile per il “bene”, che per essere tale non può che essere “comune”. Quello che nell’immagine e nell’immaginario comune si evoca con il termine politica è interesse privato, potere senza regole, ricchezza sfrenata, privilegi a non finire, favoritismi a buon mercato, raccomandazioni a piacimento e cose del genere. E con questo siamo su un piano diametralmente opposto a quello che la politica è o dovrebbe essere. Distanti migliaia di anni luce da quella “carità politica” per la quale il nostro venerabile don Luigi Sturzo si è battuto, impegnato e speso sino alla fine, con il pensiero e con l’azione. E sappiamo che l’incomprensione e l’esilio sono stati il prezzo altissimo, che ha dovuto pagare per rimanere coerente con il suo essere politico e soprattutto con il suo essere cristiano e sacerdote.
Gli appelli, che riceviamo dal contesto culturale, sociale e politico del nostro Paese, sono così tanti e così drammatici, che non possiamo rimanere a guardare. Secondo i casi dobbiamo alzare la voce, dobbiamo mettere in campo l’azione, l’impegno e anche indignarci per quanto accade, a volte troppo passivamente, sotto i nostri occhi. Non per una denuncia sterile o faziosamente contro qualcuno, ma per prendere le difese dei lavoratori che perdono il lavoro, per i nostri agricoltori, artigiani, pensionati, impiegati, che vengono calpestati nella loro dignità e nella loro fatica. Per le famiglie, sempre più alla deriva, che non sanno più come e cosa fare per assicurare l’indispensabile ai figli. Per i giovani che non hanno prospettive, non possono mettere su famiglia, non possono fare progetti. E mentre la casa brucia e l’Italia trema, affonda e affoga, qualcuno ci guadagna, ci specula, ci ingrassa. Una certa politica litiga e ci fanno contenti con le parole e le promesse. I cristiani debbono e possono essere una voce di libertà, perché prima dell’appartenenza ad una linea politica, appartengono a Gesù Cristo, alla verità e alla libertà, valori che solo in Lui possono trovare il fondamento e la pienezza. Lo so che appena un cristiano, un prete, un vescovo, il papa parlano, scatta la gara per accaparrarselo e tirarlo da una parte contro l’altra. Non per sincerità o per un confronto costruttivo, ma per averne qualche interesse, per trarre profitto anche di questo. Noi siamo a favore di ogni uomo, perché crediamo nella salvezza di tutti, (anche della politica e dei politici), perché vorremmo contribuire a salvare ad ogni costo ciascuno. Non ci dimentichiamo che siamo tutti sulla stessa barca, ma desideriamo che non se lo dimentichino neppure loro, perché alla fine la salvezza è sempre un evento collettivo, e se la barca va a fondo periamo tutti. Ma nello stesso tempo vogliamo essere pronti ad arginare qualunque agire, qualunque scelta, da qualunque parte venga, che non è di servizio, di aiuto, di sostegno disinteressato per l’uomo.
Adesso abbiamo gli occhi puntati addosso dalla comunità nazionale e anche mondiale per la presenza massiccia, nella nostra Diocesi, degli extracomunitari nel Residence degli aranci nel comune di Mineo. È innegabile che rispetto a questa scelta si intrecciano considerazioni, operazioni e interessi di varia natura e di opposte valutazioni. Chi non se ne accorge? Ma con il discernimento proprio della nostra fede e della Parola di Dio, siamo invitati a dare il massimo per affermare la dignità della persona umana a qualunque nazione, religione e lingua appartenga; a non permettere a nessuno e per nessun motivo di specularci sopra, e quindi a trattare sempre la persona come fine e mai come mezzo; a mostrare la massima accoglienza e la più totale disponibilità per soccorrere chi è in difficoltà o è in pericolo; a cercare, trovare e indicare soluzioni alternative a quell’enorme parcheggio umano in cui potrebbe trasformarsi il villaggio dell’accoglienza; a non fare sentire come un torto per la nostra gente, che si trova in gravi difficoltà economiche e lavorative, la presenza di un così grosso numero di immigrati, per i quali la comunità nazionale ed europea stanzierà delle grosse somme. Ritengo che questa operazione sarà un esame di maturità per tutti, per la comunità civile, ma anche per quella cristiana. Sarà un banco di prova, che vaglierà le nostre intenzioni alla prova dei fatti, perché permetterà di discriminare le buone intenzioni dalle buone prassi. E noi come seguaci del Signore Gesù, dovremmo adoperarci in ogni modo e con tutti i mezzi e le istituzioni di cui disponiamo (parrocchie, Caritas, volontariato) per non sottrarci a questo appuntamento, che richiede intelligenza, discernimento, spirito critico, disponibilità e sacrificio. Il lavoro che ci attende sarà lungo, impegnativo e delicato per tutti e specialmente per noi che vogliamo richiamare la centralità dell’uomo da tutti i punti di vista.
Ci sarebbe ancora da ricordare la celebrazione dei 150 anni dell’unità d’Italia che, come tutto nel nostro Paese, diventa occasione o pretesto di contrapposizione e di lotta politica, piuttosto che di concordia e di progresso per tutti. Anche in questo dobbiamo essere costruttori di pace e operatori di riconciliazione, nel nome di quei comuni valori a cui tutti, verbalmente, dichiariamo di ispirarci. Tante volte, invece, la nostra presenza e la nostra azione è quasi irrilevante e del tutto trascurabile. Anche questo deve diventare un capitolo consistente del nostro cammino quaresimale.
Con queste brevi riflessioni ho voluto semplicemente richiamare qualche elemento di quel percorso di revisione e di conversione che ci ripropone questo tempo di Quaresima. Ma ognuno dovrà svilupparlo e completarlo personalmente e ancor più comunitariamente. Ci attende una grande opera da compiere, ma ancora di più ci attende il compito di dover accogliere la grande opera che Dio vuole compiere in favore di tutti e a nostro personale vantaggio.
Incoraggiamoci e sosteniamoci a vicenda con la consolante certezza che Dio, in questo tempo, più che mai, lavora per noi ed è per noi. Se abbiamo cercato di ribadire che cosa dovrebbero essere questi quaranta giorni per noi, non dimentichiamo che cosa sono per Dio.

12. Ancora quaranta giorni perché Dio ci vuole ripetere che non vuole la morte del peccatore ma che si converta e viva.
Ancora quaranta giorni. Per non sciupare il tempo opportuno e il momento di salvezza che ancora una volta ci concede.
Ancora quaranta giorni. Perché Dio vuole tentare di convincerci che mai ci tratta secondo i nostri peccati, ma sempre secondo il suo amore e la sua misericordia.
Ancora quaranta giorni. Per giudicare la pazienza che Dio ci concede quale salvezza.
Ancora quaranta giorni. Per sperimentare che Dio ci vuole dare la sua pace e la sua gioia, che nessuno ci può togliere.
Ancora quaranta giorni. Perché Dio possa ripetere anche a noi, come alla peccatrice condannata senza appello, che Egli non solo ha tolto il giudizio a noi uomini perché siamo tutti peccatori, ma che Egli, il solo che ci potrebbe giudicare, non ci condanna.
Ancora quaranta giorni. Per avvertire che se il nostro cuore ci rimprovera le nostre colpe e ci inchioda alla nostra fragilità, Dio è più grande anche del nostro cuore e ancora di più del nostro peccato.
Ancora quaranta giorni. Per sperimentare pure in noi che dove è abbondato il peccato e sovrabbondata la misericordia e il perdono
Ancora quaranta giorni. Per sentire che possiamo rialzarci, andare, ritornare alla nostra vita e non peccare più.

13. Ancora quaranta giorni.
Ancora una Quaresima. Saranno i miei, i tuoi, i nostri quaranta giorni. Sarà la mia e la tua Quaresima, o saranno semplicemente quaranta giorni e la Quaresima? Per rispondere positivamente dovremo attendere per vedere se cambierà o non cambierà nulla nel nostro cuore e nella nostra vita. Altrimenti sarà Pasqua ma non per noi. E perché, invece, lo sia anche per noi, abbiamo, grazie a Dio, ancora quaranta giorni.

Caltagirone, 9 marzo 2011
Mercoledì delle ceneri

 + Calogero Peri