Indirizzo di saluto di S.E. mons. Calogero Peri in occasione della Sua Consacrazione episcopale

INDIRIZZO DI SALUTO DI S.E. MONS. CALOGERO PERI
IN OCCASIONE DELLA SUA CONSACRAZIONE EPISCOPALE

Basilica Cattedrale
Caltagirone, 20 marzo 2010

Fratelli e sorelle,
siamo giunti a quel momento fatidico in cui per la prima volta parla il Vescovo alla sua Chiesa. Abbiamo ascoltato: “Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato? Alzerò il calice della salvezza ed invocherò il nome del Signore!”. Ma, siccome nella chiesa mai la voce dell’uno è singola, quando parla il salmista parla sempre in nome della Chiesa e della comunità. È questo l’inno di lode e di benedizione che noi Chiesa qui radunata vogliamo elevare al nostro Dio e Signore.
Di norma, nel suo primo discorso alla sua Chiesa, il vescovo dovrebbe toccare due punti: dare qualche indicazione di programma e formulare i ringraziamenti; e nell’un caso come nell’altro corro un grosso rischio. Per quanto riguarda le indicazioni programmatiche, rischio di essere incompleto, di dimenticare qualcosa che si sarebbe potuto aggiungere o avrei potuto meglio sottolineare. Grazie, perché ognuno di voi mi aiuterà almeno in questo istante col pensiero a iniziare, a completare o a programmare un piano pastorale! Ma per questo ci sarà tempo.
Quanto ai ringraziamenti, ci sarà sempre qualcuno che giustamente penserà che avrei dovuto nominarlo, ringraziarlo personalmente e direttamente. Anche in questo caso, in questo momento io vorrei ringraziare ognuno di voi, ognuna delle persone che io ho incontrato nella mia vita e che sono state significative – e tutte le persone sono significative perché figli di Dio, fatti a sua immagine e somiglianza!
Dunque mi appresto con queste convinzioni a dire poche parole: “alzerò il calice della salvezza”. Il calice è una coppa che racchiude ed è ricca di elementi diversi, che qualcuno di grande sapienza nell’antichità direbbe che erano dispersi e sono diventati una cosa sola.
Che cosa vorrei, che cosa sogno, che cosa desidero? Che questa Chiesa, ed io come suo pastore, in questo momento fosse innalzata!
Io cercherò di dirvi questo, tenendo presente per quanto è possibile, alcuni registri: anzitutto il registro dello Spirito, poi il registro della qualità delle relazioni, ed ancora il registro della gratuità. Tutti questi tre registri sono, si manifestano, si esprimono, nell’eucaristia: lì è il modello del nostro essere, del nostro agire, del nostro vivere, del nostro testimoniare la nostra esperienza cristiana, in cui il termine “cristiano” non è semplicemente un aggettivo che si aggiunge alla nostra vita ma è l’essere come Cristo, l’essere in Cristo, l’essere per Cristo; è, soprattutto, l’essere come Lui nel fare quello che Lui ha fatto: un passaggio da una forma di religiosità vaga, esteriore e superficiale, alla dimensione dello Spirito, perché solo se c’è lo Spirito nelle cose allora esse acquistano senso. Lo sappiamo benissimo: lo Spirito della preghiera, lo Spirito della comunione, lo Spirito dell’unità, altrimenti rischiamo di “fare cose” e abbiamo sentito che la carne non giova a nulla se ci fermiamo semplicemente ad una dimensione umana.
Ho poi un sogno, un desiderio che ritengo importante, un segno dei tempi, una testimonianza dovuta agli uomini, al mondo, alle realtà che in Cristo non credono. Essi vogliono vedere da noi una qualità di relazione che non è semplicemente dettata dalle simpatie, dalla reciprocità, dai favori, dall’interesse ma unicamente e soltanto dall’amore, dal rispetto, dall’essere in questo mondo tutti e sempre come il buon samaritano che si prende cura, che è capace, come ci dice il Vangelo, non di amare perché sei stato amato ma di amare per primo, di amare senza ritorno, di amare senza interessi, di amare tutti, di amare nonostante tutto, di amare il tutto.
È difficile, ma è il dono che il Signore ci vuole concedere. È questo il senso della gratuità, è il senso del dono, è il senso della grazia, altrimenti, ci direbbe il Vangelo di Luca, quale grazia, quale gratuità, quale dono conosciamo? Conosceremo i nostri doni ma quelli non hanno mai salvato nessuno e soprattutto non salveranno mai questo mondo e nessuno di noi. Ecco il perché dell’eucaristia, laddove anche le relazioni ferite e tradite ricevono il loro riscatto e questo dipende solo e soltanto da te, non dagli altri, non da quello che fanno gli altri, ma dalla tua capacità di darti come un dono gratuito, generoso, spontaneo, incondizionato, assoluto. Tutto abbiamo ricevuto da Dio.
Vorrei che si mettessero a fuoco le relazioni. La relazione con Dio, innanzitutto. Poco fa sulla mia testa, sul mio capo è stato intronizzato il Vangelo: che questo Vangelo sia intronizzato nei miei pensieri e soprattutto nel mio cuore, come pure nei pensieri, nella vita, nell’esperienza e nel cuore di questa Chiesa, perché sia una Chiesa secondo il Vangelo, in cui la fede, la speranza e, al di sopra di tutto, la carità la mantengano sempre dentro la relazione con Dio, dentro questo filo verticale che regge sempre il senso della nostra vita e della nostra esistenza.
In secondo luogo vorrei che si mettesse a fuoco la relazione con gli altri, la relazione con questo mondo guardato con gli occhi di Dio che lo vede bello nonostante tutto: nonostante i segni del suo peccato, della sua lacerazione, del suo limite, della sua fragilità, gli occhi di Dio vedono bello questo mondo! Mi sono sempre chiesto perché Dio che crea, che sprigiona le cose e la realtà con la sua parola, ripete come un ritornello che era buono, che era molto buono.
Ma poi apriamo gli occhi, apriamo la bocca e ci lamentiamo di tutto. Non è possibile! I cristiani non sono chiamati ad essere superficiali ma a leggere dentro questa realtà, aldilà delle lacerazioni che la contraddistinguono, la bellezza, la redenzione, a non vedere il peccato senza che questo peccato sia redento, salvato. Camminiamo verso la Pasqua e per questo siamo, nonostante tutto, sempre per grazia e per fede, per dono, ottimisti.
Un ultimo punto è la relazione con noi stessi, quella grande capacità di dialogo con la nostra vita, con il nostro essere, quel chiedere un di più a noi, quel chiedere in un rapporto difficile, sempre un supplemento di amore, di fiducia verso gli altri.
Sono queste le piccole cose che vorrei sognare, che vorremmo sognare tutti e se le sogneremo insieme si realizzeranno, perché fin quando è il mio sogno, resta tale, ma quando è un sogno condiviso, quando è un sogno di tutti, allora è la realtà. La prima condizione per realizzare un sogno è quello di svegliarsi, quello di aprire gli occhi, quello di mettere i piedi a terra, quello di pensare che è possibile, perché quello che non è possibile all’uno, è possibile a Dio ed è possibile dunque alla sua santa Chiesa, è possibile a noi se viviamo la comunione.
Ma ci sarà tempo, fratelli e sorelle, perché questi temi, questi spunti, questi sogni, queste utopie, questi desideri, siano condivisi e diventino progetto, diventino programma, diventino cammino.
Non voglio continuare su questo registro perché il discorso sarebbe lungo. Vorrei semplicemente passare ai ringraziamenti. E qui evidentemente cascherà l’asino… ma non preoccupatevi! Per non sbagliare mi sono lasciato guidare dal salmista che ci ha detto: “alzerò il calice”. Ed io ho tentato di dirvi che cosa dovremmo innalzare nella nostra esperienza, nella nostra vita.
Poi il salmista prosegue: “e invocherò il nome del Signore”. Io voglio invocare il nome del Signore in ringraziamento su tutti e su ciascuno di voi, presenti e assenti, vicini e lontani, sui parenti e su chiunque invoca il nome del Signore. A tutti dico grazie, perché solo quando sai dire grazie a qualcuno, significa che ti sei fermato, hai guardato, hai ascoltato ed hai capito comunque che l’altro è e resta sempre per te un dono, un regalo, in verità a volte anche indesiderato, ma sempre il dono e il regalo che Dio ti ha fatto. I fratelli, lo diciamo tutti, lo diciamo sempre, ci vengono dati. Ma io sogno di poter ringraziare ognuno perché, oltre ad essere un fratello che ci è stato dato, possa diventare un amico che ciascuno sceglie perché i fratelli ci vengono dati, gli amici li scegliamo.
In questo momento vorrei che tutte le persone hanno intersecato per un motivo o un altro la mia vita, la mia esperienza, il mio cammino, le mie debolezze, le mie fragilità, sentissero che, per nessun altro motivo, eccetto il fatto di esserci incontrati, sono scelti, voluti, eletti come amici.
Invoco dunque il nome del Signore sul Papa Benedetto XVI che mi ha eletto.
Invoco il nome del Signore per ringraziare S.E. mons. Paolo Romeo, presidente delle conferenza episcopale siciliana: è stato lui che mi ha comunicato la sera del 18 gennaio in episcopio a Palermo, in tarda sera, questa notizia e comprensibilmente ha dovuto accompagnare e guidare il mio disorientamento e lo ha fatto non soltanto in quella circostanza, ma sempre e in ogni suo intervento mi ha dimostrato il suo affetto di padre, il suo incoraggiamento, sostenendomi nell’accettare e nell’accogliere la volontà di Dio, grazie!
Ringrazio ancora S.E. mons. Vincenzo Manzella, che mi ha preceduto nella guida di questa Chiesa, lavorando in questa vigna e, come ci direbbe il Vangelo, sopportando il peso ed il calore della giornata tutta intera. Grazie perché con gioia mi ha accolto, grazie del suo accompagnamento e dei preziosi consigli che mi ha dato e sicuramente mi darà, grazie!.
Vorrei poi ringraziare S.E. Mariano Crociata, segretario della Cei, ma prima ancora collega per anni in facoltà, amico, quasi compaesano: grazie, Mariano, della tua presenza e soprattutto di quel cammino di unità, di comunione di intenti che a volte nella discrezione, nel silenzio mi hai dato sempre di condividere con te, con il tuo silenzio, con la tua grandezza e con il tuo consiglio, grazie! Ringrazio con gioia il nostro metropolita, Salvatore Gristina, vescovo di Catania, Chiesa di cui noi siamo suffraganei, costituendo insieme ad Acireale una grande realtà, un’esperienza di Chiesa e di comunione. Con grande sensibilità mi ha invitato il 5 di febbraio, appena pochi giorni dopo la mia elezione, alla grandiosa festa di S Agata, ed io lì il primo a sfilare… immaginate come, assieme a cotanto senno di vescovi, io lì con questo copricapo color paonazzo in testa che portavo per le prime volte! Grazie, mons. Gristina!
Ringrazio il vescovo della mia chiesa d’origine, Mazara del Vallo, mons. Domenico Mogavero, il vescovo di Caltanissetta, Mario Russotto, e poi tutti gli eccellentissimi vescovi della Sicilia; c’è anche chi è venuto dalla Grecia, il presidente della conferenza episcopale. A tutti questi confratelli, che hanno avuto la gioia di accogliermi, la pazienza di accompagnarmi ed avranno ancora la pietà di consigliarmi, il mio grazie perché adesso mi sento di appartenere alla schiera dei successori degli apostoli che hanno il compito esaltante – l’abbiamo sentito -, di guidare, custodire, ammaestrare, insegnare, governare, reggere questo santo popolo di Dio. Grazie agli eccellentissimi vescovi!
Come vedete, vado procedendo per cerchi concentrici, dai più larghi andiamo man mano stringendo.
Invoco il nome del Signore sul mio presbiterio, tutti questi che sono qui presenti e quelli che non sono potuti venire, e dico mio nel doppio senso: mio perché sento che mi appartenete e mi apparterrete sempre di più perché il Signore ha dato voi a me e nello stesso tempo mio perché io appartengo a voi. Grazie della vostra presenza: voi siete l’espressione più bella, voi siete quanto di più bello oggi il Signore mi regala.
Ringrazio poi le religiose, i religiosi, i seminaristi, le associazioni laicali, insomma tutta l’articolazione di una Chiesa ricca e bella che il Signore oggi mi dà come un regalo, come una dote, come una sposa. Grazie! Con voi cercheremo di vivere, di lavorare, di impegnarci tutti nella vigna del Signore. Lo posso ben dire io, che sono un vignaiolo per esperienza, per averlo fatto per tanti anni, per tanti mesi.
Immaginate tutta la Chiesa di Caltagirone, nelle sue diverse articolazioni: chi è presente e chi non è potuto venire, gli ammalati, i giovani, i bambini, i vecchi, quelli che sono in ospedale, gli anziani, i carcerati, insomma, tutti vorrei ringraziare, ma dimenticherò sicuramente qualcuno…
Vorrei ringraziare alla fine la mia famiglia, le autorità civili e militari di ogni ordine e grado, a partire dai sindaci, da quello del mio paese, che mi ha mandato una rappresentanza, a quelli di questo territorio, che saranno i sindaci e le autorità con cui avremo a che fare, perché ci sia quella sinergia per lavorare con buona volontà per il bene di tutti in maniera disinteressata, in maniera impegnata, in maniera responsabile, in maniera da mettere sempre le persone al centro dei nostri pensieri e dei nostri interventi.
Dopo le autorità, vorrei ringraziare la grande famiglia cappuccina, in particolare i fratelli cappuccini della mia provincia. Ha detto bene mons. Romeo, quello che sono lo debbo a loro. Grazie, fratelli, ad ognuno e a tutti in maniera particolare, ai fratelli cappuccini provinciali, al vicario generale che è venuto a nome del generale, che ha visitato la nostra provincia il 10 marzo e adesso è fuori in giro per il mondo. Grazie, perché con loro abbiamo vissuto, se non la realizzazione, almeno la tensione verso l’ideale francescano di essere in questo mondo pellegrini e forestieri con la gioia e la letizia francescana. Grazie fratelli!
Prima di andare avanti, vorrei ringraziare quanti in ogni modo, si sono prodigati per curare, per organizzare – e non è una cosa facile, semplice, dati i numeri! -, questa celebrazione: le forze dell’ordine, il sindaco, tutti i volontari, quanti insomma hanno faticato e lavorato in silenzio. Io ho avuto solo sentore di quanto avveniva dietro le quinte e avrei voluto dare anch’io una mano, che so, a spostare qualche banco, a fare qualcosa, ma non l’ho potuto fare. Grazie, veramente tanto! Ci sono state delle commissioni miste, tra la diocesi e il comune, non è una cosa facile e semplice gestire una macchina organizzativa come quella che hanno messo su per questa giornata, e, se qualche pecca c’è stata, non gliene vogliamo davvero; anzi per quello che è stato fatto, anche per gli eventuali errori, ci facciamo tutti un applauso perché siamo umani.
Vorrei poi ringraziare tutti quelli che per un motivo o l’altro si son fatti presenti con un pensiero, una preghiera, un dono, un ricordo, uno scritto, una telefonata, un messaggio, ai quali magari non ho potuto rispondere o corrispondere come avrebbero voluto e soprattutto come avrebbero meritato. Grazie a tutti!
Adesso stringiamo il cerchio ancora un po’ di più: grazie agli amici, ai colleghi, agli studenti della Facoltà Teologica di Sicilia, dove ho trascorso ben 30 anni come docente e 4 o 5 come discente. Quello è davvero un cordone ombelicale che non si taglia facilmente! Grazie ai colleghi, grazie a tutti gli studenti, grazie a tanti che ora sono sacerdoti e a tanti che hanno condiviso questa passione per entrare nel mistero delle cose con un po’ più di fatica, di attenzione, di penetrazione. Grazie, colleghi! Adesso cercherò, per quello che mi è possibile, di lavorare per la Facoltà in maniera diversa, perché la Facoltà è una grande realtà non solo per Palermo, ma perché presiede, incoraggia e sostiene lo studio e l’approfondimento della fede nella nostra Isola. Che il mistero di Dio, vissuto e approfondito, letto e annunziato con la passione della mente, del cuore, della vita, possa essere per davvero un segno distintivo delle nostre chiese qui in Sicilia.
Grazie, fratelli, a tutti coloro che in qualche modo nell’insegnamento, nella docenza sono e impegnano il loro servizio e le loro energie. Grazie!
Stiamo finendo… Vorrei ringraziare la fraternità francescana: molti sono venuti perché volevano esserci tutti, e, pur sapendo che avrebbero seguito la funzione da uno schermo, si son fatti ore e ore di pullman da Trapani e da posti più lontani. Grazie! Non merito questo ma sono contento che lo abbiate fatto: il vostro affetto mi ha riempito di gioia.
Ho terminato. Voglio ringraziare adesso la mia famiglia: Pippo, mia sorella Giusi, mio cognato Paolo, i miei nipoti: Francesca, Giulio, Diana, Rosario e tutti i parenti e amici che son venuti da Salemi. Grazie, perché tutti loro sono stati parte della mia vita.
Grazie infine a quelli che ho dimenticato: l’ho detto già in partenza che avrei sicuramente dimenticato qualcuno.
Un ultimo ricordo, silenzioso, affettuoso lo rivolgo a coloro che ci guardano da lassù.