Domenica delle Palme (2011)

DOMENICA DELLE PALME
OMELIA DI S.E. MONS. CALOGERO PERI

Basilica Cattedrale
Caltagirone, 17 aprile 2011

Fratelli e sorelle,
con la celebrazione della domenica delle Palme siamo entrati nella grande settimana. Grande settimana perché è la settimana in cui il Signore fa grandi cose per noi, compie sino in fondo per suo amore il mistero della nostra salvezza e della nostra redenzione. La ricchezza della Parola di Dio che abbiamo ascoltato ci aiuta e ci invita ad entrare anche noi in questo mistero perché innanzitutto ci mette dinanzi ad una alternativa: dinanzi a questi eventi, dinanzi alla salvezza, dinanzi al mistero della Pasqua, dinanzi al dramma della morte e della resurrezione del Signore, chiede, a te ed a me, cosa vogliamo fare. Vogliamo rimanere spettatori? Come abbiamo sentito, alcuni di fronte a questi avvenimenti erano andati soltanto per vedere lo spettacolo. Oppure, siamo disposti anche noi ad entrare nel mistero della Pasqua, ad entrare nella settimana santa, ad entrare dentro il dramma della croce per poterlo vivere e attraversare in modo da poter giungere anche noi ad un mattino luminoso di speranza e di Pasqua?
Ci sono degli atteggiamenti che la Parola di Dio ci ha suggerito.
Molto velocemente, perché capite quanto ricca e quanto sfumata è questa Parola che oggi abbiamo ascoltato, io vorrei sottolineare per me e per voi alcuni di questi atteggiamenti e disposizioni che la Parola di Dio ci propone per non rimanere spettatori o per non farci un mistero della Pasqua a nostra immagine e somiglianza. Perché il mistero della Pasqua ci vuole trasformare a immagine e somiglianza di Dio nostro Signore.
Ecco perché tra i primi atteggiamenti che ci sono stati sottolineati ed ai quali siamo stati invitati, c’è quello dell’ascolto. Dal profeta Isaia abbiamo sentito queste parole: “Ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come i discepoli. Io ogni giorno apro il mio orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro”. Per entrare nella Pasqua di Dio e nostra Pasqua siamo invitati a mettere a fuoco il nostro atteggiamento di ascolto, vale a dire di accoglienza, di disponibilità ad una Parola che ci investe, che ci interroga, che ci spinge e nello stesso tempo risolve i nostri interrogativi, aiutandoci a dare risposte divine alle nostre domande umane. Siamo invitati a diventare discepoli dell’unico Signore ma è chiaro che solo se noi siamo capaci di ascolto, di entrare nel mistero di Dio, possiamo diventare per davvero suoi discepoli e seguirlo fedelmente e in maniera attenta, possiamo anche noi avere la forza, il coraggio, la possibilità e la capacità di fronteggiare il mistero della vita. Abbiamo sentito infatti parole come queste: rendo attento il mio orecchio alla sua parola e per questo sono capace di rendere la mia faccia dura come pietra contro i miei nemici, contro tutto quello che sembra ostacolare e impedire.
Infatti, se noi ascoltiamo la Parola di Dio, ci rendiamo conto che siamo invitati anche noi a vincere e a superare quel senso di vuoto che la vita tante volte ci dà, quando non sentiamo Dio come nostro padre in una storia nella quale invece Lui sempre si rivela, si manifesta, si dona, si regala a noi in maniera totalmente diversa da come noi lo aspettiamo.
Voi sapete che, nella preghiera, il cristiano può manifestare a Dio tutte le sue sensazioni, anche quelle che, se non fossero preghiera, se non fossero invocazione, sarebbero una bestemmia. Nella preghiera con il salmista, ma anche con lo stesso Cristo Signore quando è dentro la sua passione e dentro il mistero della sua croce, anche noi abbiamo ripetuto: Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato? Capiamo allora che essere figli di Dio non contraddice un’esperienza che appare – ed è – soprattutto una passione. Oggi abbiamo sentito dall’apostolo Paolo nella lettera ai Filippesi, che il mistero della Pasqua ci mostra un Dio che per essere vicino e prossimo, per essere accanto, per essere ogni giorno e ogni volta a contatto con l’uomo e dunque a contatto con me e con te, non ritenne un privilegio il suo essere uguale a Dio, anzi si spogliò di qualsiasi differenza con noi per vivere la nostra vicenda umana, non per sentito dire – perché tu ed io nel dolore, nella sofferenza e nella stessa preghiera glielo possiamo esprimere-, ma per viverla dal di dentro, per sentirla o, se volete, per patirla come noi. Come il buon samaritano, egli si piega, si china dinanzi all’uomo per farsene totalmente carico,
Siamo dunque entrati nella passione di Dio, ma non nella sua passività. Il nostro non è un Dio che subisce gli avvenimenti, che subisce la storia, ma un Dio che vuole insegnare a te e a me come, anche dentro una grande passione, dentro il grande mistero della vita che ci sopravanza da ogni parte e da ogni lato, possiamo saperla gestire se la viviamo per amore. Abbiamo sentito infatti che quando Lui entra nella la sua passione, ha finalmente la consapevolezza di essere figlio di Dio. Ma anche tu ed io, fratelli e sorelle, siamo figli di Dio e per questo viviamo di fatto nella nostra vita, nella nostra condizione, la sua stessa vita, la sua stessa condizione, il suo stesso mistero pasquale, così che noi non abbiamo più la possibilità di dire a Dio: tu a noi regali, doni, offri una storia che è tanto diversa dalla tua. No, la nostra storia è come la sua storia, la nostra vita come la sua vita, la nostra passione come la sua passione, e noi abbiamo la possibilità se vogliamo, se ascoltiamo, se accogliamo questa Parola di Dio, di avere anche noi come Lui dentro questa passione, dentro questo mistero della vita, la capacità e la possibilità di gestirlo. Non certo con le nostre forze, perché dinanzi all’onda d’urto incontrollabile del dolore e della sofferenza, della malattia e della morte, noi ci sentiamo schiacciati dagli avvenimenti. Ma possiamo avere invece per il suo esempio, per la sua parola, per la sua forza, per il suo mistero pasquale, la capacità di poterlo gestire. Lui ci ha detto che si può gestire il mistero della vita ad una sola condizione: cambiando il senso, l’indirizzo, l’impostazione, l’atteggiamento, la disposizione con cui noi viviamo. Il Signore Gesù entra dentro il mistero della sua passione. Abbiamo sentito parole come queste: ecco il mio corpo dato per voi, ecco il mio sangue versato per voi. È lì il mistero della vita!
Se tu vuoi vivere per te, se tu vuoi che tutto sia indirizzato a mettere al centro il tuo io, hai scelto un progetto vano di esistenza, un progetto fallimentare di vita. Dio ci ha mostrato che il mistero della Pasqua è il mistero di una vita data per gli altri, offerta, regalata, donata. Il mistero di un corpo e di una vita spezzata per farsi dono e regalo per gli altri. Ecco perché siamo invitati, fratelli e sorelle, tu ed io, a verificare se la nostra disponibilità alla Parola è come quella di Dio, così come abbiamo sentito: “perché in me si compia la Parola di Dio”. Lui è capace di una coerenza estrema tra questa parola e la sua vita. Proprio al contrario dell’incoerenza tra le nostre parole e la nostra vita! Chissà se anche noi come Pietro gli abbiamo detto a parole: Signore sono disposto a morire, sono disposto a seguirti, sono disposto a tutto per te, ma poi è bastato un piccolo interrogativo della vita, la voce flebile messa in bocca a questa serva del sommo sacerdote, per mostrare l’incoerenza della nostra disponibilità.
Quanto, fratelli e sorelle, del nostro essere cristiani, del nostro essere o meglio del nostro dirci discepoli del Signore non è soltanto questione di parole! C’è un abisso tra le nostre parole e la nostra vita, tra quello che noi celebriamo e diciamo di essere disponibili a vivere oggi, qui ed ora, in questa Settimana santa e nel mistero della Pasqua, e la nostra vita concreta, i fatti, la realtà, la concretezza e le sensazioni vere che tu ed io viviamo nella nostra esistenza. Dov’è questa coerenza tra parole e vita? Questo è il grande dramma ma anche la grande verifica a cui noi siamo invitati: noi siamo invitati al mistero della Pasqua senza rimanerne spettatori. Fratelli e sorelle, in questa grande settimana non c’è spazio per restare e diventare solo spettatori, perché questi avvenimenti ti coinvolgono. Pietro rinnega Gesù, ma poi è coinvolto dal mistero della sua passione. Potessimo almeno avere anche tu ed io, come Pietro, se non la coerenza della vita, almeno il pentimento di una vita non coerente, non all’altezza della Parola, non all’altezza del mistero che celebriamo questo giorno, in questa settimana e ogni domenica; potessimo almeno avere il suo pianto riparatore, il pianto della presa di coscienza che tra l’essere e il dirci cristiani, tra il nostro dire e il nostro fare, c’è un abisso! Invece abbiamo sentito che tra il dire di Dio, la sua Parola, e la sua vita, c’è questa perfetta consonanza, questa perfetta corrispondenza.
A quale fede, a quale senso cristiano noi ci stiamo aggrappando? A quello dei miracoli, ad una vita ed una fede che noi vorremmo essere fondata sul prodigio, su ciò che ti risolve i problemi e non su ciò che ti invita ad affrontarli con una coerenza, una forza e un coraggio che non sono umani ma che sono il dono di Dio per l’uomo? La nostra fede dentro il mistero della croce, la nostra fede attorno al dramma della croce, sotto il Golgota, è la fede di coloro che gli chiedono di scendere dalla croce, cioè a dire di donare e regalare loro una vita in cui non c’è spazio, non c’è disponibilità, non c’è accoglienza per la croce o la nostra fede è come quella del centurione, il quale vedendolo morire disse: “questo è per davvero il Figlio di Dio”? La nostra fede è dentro il mistero della Pasqua, dentro l’accoglienza del Venerdì santo, dentro il dramma incomprensibile di Dio? Perché da un punto di vista umano, la logica, se è logica, ti dice che Dio non può morire e se muore non è Dio. Ed invece il Venerdì santo si hanno, per la nostra visione della realtà, queste contraddizioni, che c’è un Dio ma è debole, che è onnipotente ma è incapace di scendere da una croce. Dentro questa realtà cosa dirai? Siamo capaci di mettere insieme una fede che non è una tangenziale o una scorciatoia al dolore e alla sofferenza, ma è una fede capace di accogliere sino in fondo la totalità del mistero della nostra vita come Cristo è stato capace di accogliere sino in fondo il mistero della volontà di Dio suo Padre? Siamo capaci di dirgli come il Figlio di Dio, noi figli di Dio: “Padre nelle tue mani mi affido, mi consegno”, sapendo che questo affidamento e questa consegna, che questo abbandono dentro un mistero che ci supera da ogni parte, è la nostra salvezza, è la nostra redenzione, è la nostra Pasqua? Se noi saremo capaci di entrare dentro il dramma, dentro il tormento, dentro il silenzio, dentro il buio del Venerdì santo, da mezzogiorno fino alle tre, quando il sole dovrebbe splendere più forte, più luminoso e più caldo, e invece si fa buio su tutta la terra, quando per davvero si squarcia il mistero della nostra fede, della nostra religiosità tutta esteriore, come si squarcia il velo nel tempio, anche per noi, come abbiamo sentito, si potrà anticipare una piccola luce, una piccola speranza ed allora la nostra grande notte, quella del dolore, quella della sofferenza, vedrà le prime luci dell’alba.
Bellissimo il racconto del Vangelo che ci ha introdotti dentro il mistero della morte, dentro il mistero del dolore, del silenzio, della notte, dentro il mistero di Dio e dell’uomo, del silenzio di Dio che diventa tormento per noi e per la nostra intelligenza. Però abbiamo ascoltato che dopo tutto questo si annunziavano le luci di un mattino. Dio ci vuole fare entrare dentro il dramma di questa settimana perché possiamo anche a noi veder spuntare all’orizzonte una luce di speranza, una luce di gioia, una luce di vita e di resurrezione. E noi vogliamo entrare in questo dramma come suoi discepoli, come figli veri e autentici di Dio che con il mistero della Pasqua purificano sino in fondo la loro fede.
Ma non avrebbe senso una resurrezione, una speranza, una vita, se esse non fossero per davvero la risposta che Dio dà, oggi e sempre, alla drammaticità, al dolore e agli interrogativi che la nostra vita, se vuole essere concreta, non può che porre a noi e non può che presentare a Dio. Solo se siamo veramente uomini e accogliamo sino in fondo il mistero della nostra vita, possiamo avere da Dio la speranza che ci rilancia e che ci fa vedere – al di là di ciò che capiamo e che vediamo -, che per noi l’orizzonte della nostra vita, della nostra storia non è del tutto e non è per sempre buio, perché anche per noi si annunzia una luce di speranza, di vita e di resurrezione.